QUANDO: oggi
Shizukuishi porta il nome di una particolare varietà di cacus e vive sola con la nonna in un'isolata casetta sperduta tra i boschi, in montagna, divenuta negli anni metà di un silenzioso pellegrinaggio da parte di chiunque avesse bisogno di conforto. Perchè? Ma perchè la nonna, esperta conoscitrice delle montagne, dei boschi e delle erbe, è in grado di miscelarle sapientemente a produrre dei tè dalle virtù terapeutiche, capaci di calmare e medicare il cuore di chi li sorseggia. Ecco, è bastato questo, per farmi innamorare - per l'ennesima volta, direi - della penna di Banana Yoshimoto.
Va detto che stavolta toccava delle corde a me particolarmente care - come farmacista appassionata di fitoterapia e come amante della montagna, con alle spalle anni di Dolomiti coi miei, da ragazzina, ad immergermi negli odori dei boschi. In ogni caso, da buona viaggiatrice virtuale quale sono, mi sono subito lasciata rapire dal suo solito tocco poetico ed evocante, piombando stavolta nella vita di una giovane ragazza malinconica e solitaria, trapiantata - mai come in questo caso la metafora attinta dal mondo vegetale calza a pennello - in una grande città dopo che la nonna si è trasferita a Malta, per convivere con l'uomo col quale da qualche anno intratteneva una composta e tenera corrispondenza via internet (ecco, anche questa nonna vedova che si rifà una vita con un cliente divenuto poi confidente telematico è una di quelle pennellate con cui la Yoshimoto arricchisce di poesia anche piccoli dettagli, e che io adoro).
Immaginate, quindi, il contrasto: dentro di lei, il silenzio dei boschi di montagna, l'aria tersa, il frusciare dei rami scossi dal vento, lo scricchiolare nascosto di un ramo secco sotto le zampe di un'anonimo animale, la terra umida che penetra con il suo aroma fino nelle narici, la vegetazione bagnata di rugiada, la piccola e silenziosa capanna in cui le mani della nonna miscelavano con amore i suoi celebri tè.
Fuori, il cemento, le luci, il continuo borbottare del traffico, centinaia e centinaia di teste e gambe e cappotti e borse che si affannano frettolose e distratte sui marciapiedi, i palazzi grigi che schermano la luce del sole, l'odore dei gas di scarico, le poche e anemiche piantine in cerca di ossigeno sui terrazzi.
In mezzo, sballottata tra questi sentimenti, la giovane Shizukuishi, senza amici, senza famiglia, con l'unico conforto delle erbe essiccate che ha portato con sè, dei preziosi insegnamenti della nonna sul potere terapeutico di un tè bollente e dei suoi amati, amatissimi cactus, coi quali Shizukuishi parla ed ai quali dedica cure amorevoli, certa che qualunque creatura vivente - sia essa una piantina dalle spine aguzze o un essere umano - sia meritevole d'amore.
Come può questa piccola e fragile diciottenne trovare il suo equilibrio nella giungla asfaltata? Senza svelare troppo della trama - il libro va gustato, lentamente, proprio come una bella tazza di tè - basta dire che interverranno un tramonto in un grande giardino botanico, il giovane custode di quest'ultimo e, soprattutto, Kaede, affascinante sensitivo ipovedente, presso il quale Shizukuishi inizia a lavorare come assistente.
Un libro delicato come un acquerello sulla vita, sui cambiamenti, sulla possibilità straordinaria che abbiamo di intervenire - positivamente - nelle vite degli altri, e sul destino.
UN ASSAGGIO:
"Ci svegliavamo ogni mattina alle cinque per andare a cogliere le erbe medicinali. La prima parte della giornata era dedicata interamente a farle essiccare, tagliarle e ricavarne gli estratti utilizzando una speciale acqua sorgiva o il calore diretto del sole, mentre nel pomeriggio ci occupavamo dei clienti. Nel nostro sgangherato negozio una confezione di tè costava sempre duemila yen, indipendentemente dal numero delle persone che l'acquistavano e dall'impegno che la preparazione aveva richiesto, quindi vivevamo in condizioni piuttosto modeste.
Tutti quelli che passavano, però, fosse anche solo per far visita alla nonna, portavano dei doni, il che ci garantiva almeno da mangiare. Un cacciatore della zona ci regalava carne di cinghiale e di coniglio, e inoltre il fiume era ricco di pesce. In primavera cresceva ogni genere di pianta e non avevamo problemi, le estati erano fresche, d'autunno eravamo indaffarate a raccogliere frutti, gli inverni erano freddi, ma il nostro vicino cacciatore veniva sempre a tagliarci la legna per il camino. Non ho mai avuto la sensazione che ci mancasse qualcosa, anzi, la nostra era una vita molto felice.
Le pareti di casa erano tappezzate di cartoline e lettere di ringraziamento giunte da tutto il Giappone. Quando ci sentivamo un po' abbattute ci bastava guardarle per ricordarci del sorriso di quelle persone e capire che dovevamo continuare a fare del nostro meglio."