QUANDO: Anni '30.
Solo qualche giorno fa, sul blog del GdL di Bryce House si parlava dell'importanza di contestualizzare un libro prima di giudicarlo. Sostanzialmente, il succo è: vale per i libri lo stesso principio che vale per gli esseri umani: mai lasciarsi condizionare da commenti superficiali.
Ecco, trovo che King Kong sia un perfetto esempio di come un libro debba essere letto nel contesto in cui è nato. Certo che, ad un occhio del duemilaundici, l'avventura del cigolante Vagabondo ai confini del mondo conosciuto per assecondare il capriccio di un eccentrico produttore cinematografico mettendo a repentaglio la vita di quanti avrebbero preso alla spedizione, risulta forzatamente artificiosa, per non parlare per la facilità con cui, di fronte a creature credute estinte, si mette mano a bombe soporifere e pistole, completando con lo scatto di un grilletto ciò che l'evoluzione aveva miracolosamente lasciato in sospeso per anni.
Ma non dobbiamo dimenticare da dove nasce il poderoso e sfortunato gorilla: siamo infatti nell'America degli anni Trenta, sospesi tra due guerre mondiali, ancora scossa da una grave crisi economica, un'America nella quale la nascente industria cinematografica incomincia a costruire a tavolino opere che riempiano le sale facendo tintinnare le monete nei botteghini. Ecco quindi che, reclutato il genio del romanzo poliziesco Edgar Wallace, gli viene chiesto di scrivere una storia spaventosa eppure sentimentale, nella quale l'eterna lotta tra Uomo e Natura vede infine il primo trionfante, grazie ai vigliacchi espedienti che l'evoluzione delle armi ha messo in mano ad una creatura altrimenti debole ed inerme. Anche se, a onor del vero, va detto che Wallace morì nel 1932 contribuendo ben poco alla realizzazione effettiva della scenografia, pur mantenendo per questioni legali il proprio nome come autore dell'opera.
Nasce così l'infelice e terrificante scimmione, vissuto per anni nell'ombra della sua isola, venerato e temuto da una piccola tribù di indigeni con l'usanza di sacrificare al dio-bestia una fanciulla, fino a che sulle sue rive non sbarca una piccola ciurma capitanata dal produttore cinematografico Denham, guidato fin lì dai deliranti racconti di alcuni di quegli stessi indigeni, fuggiti all'isola e raccolti da una nave norvegese. Denham è in cerca di storie portentose, ed il suo fiuto gli dice che lì, nell'intrico della vegetazione, si nasconde qualcosa che potrebbe fruttargli un bel po' di verdoni; per questo ha convinto la giovane e disperata Ann, tanto bella quanto sola e senza il becco di un quattrino, a seguirlo nella sua folle avventura, assieme ad un manipolo di marinai scelti e ben equipaggiati di armi e munizioni.
Inutile dilungarmi nel raccontare la trama, che immagino sia ben nota a tutti, fin al tragico epilogo sulla vetta dell'Empire State Building, tra il ronzare degli aerei , le urla della biondissima Ann ed il ra-ta-ta-ta-ta delle mitragliatrici; quello che voglio sottolineare è l'atmosfera assolutamente ingenua, quasi naive, che traspira attraverso le pagine di questo libro; un'atmosfera che parla di come eravamo come pubblico, di un'epoca in cui bastava poco per farci spalancare la bocca dallo stupore o dal terrore, in cui al cinema ci accontentavamo di una storia senza troppi fronzoli, in cui si piantano pallottole nel cranio di innocenti bestioni - poco importa poi che fossero effettivamente carnivori, quel che importa è che lì, sullo schermo del cinema, un brontosauro è perfettamente credibile mentre azzanna un cristiano, anche se a noi "moderni" strappa un sorriso di tenerezza - in cui la bellissima protagonista dalla belle bianca e i capelli color oro suscita il tenero amore del capitano della nave ma, ahimè, anche quello pericoloso dell'enorme scimmione, in cui la gente fa la fila sciamando ai botteghini per vedere dal vivo Kong, l'Ottava Meraviglia del Mondo.
Insomma, ad un analisi superficiale, un guazzabuglio di tutto ciò che farebbe inorridire i moderni paleontologi, etologi ed animalisti; eppure siamo stati anche questo, in passato. Ma la chiave di tutto, probabilmente, è quella che sottolinea Mattia Carratello nell'interessante postfazione al libro, in quella mitragliatrice che pone fine a tutto, restituendo la tranquillità ad un mondo minacciato; è lei, in un certo senso, il simbolo di quegli anni in bilico tra le due guerre mondiali. Eravamo spaventati, avevamo bisogno di sicurezza, di controllo. Ecco quindi che l'immagine del possente gorilla, che così a lungo aveva terrorizzato i "poveri indigeni ignoranti ed incivili", viene reso inerme dalla società del cemento e delle pistole, dimostrando a noi piccoli seduti nel buio della sala che non c'è nulla da temere, che noi abbiamo il "progresso", la "civiltà", il completo controllo sul mondo.
UN ASSAGGIO:
"La folla s'era accalcata bloccando quattro isolati interi sopra Times Square, e si riversava a Broadway in un flusso continuo. I vigili scuotevano impotenti la testa, facendo inutili 'no' col dito e incoraggiando stancamente i taxi a deviare verso le strade laterali. Nel punto in cui la folla si accalcava di più, occupando non metà, ma quasi tutta la strada, un'insegna spiccava dall'alto annunciando a tutto il mondo a chiare lettere:
KING KONG! L'OTTAVA MERAVIGLIA DEL MONDO
Sotto la scritta luminosa i cappelli a cilindro di Park Avenue urtavano quelli a bombetta del Bronx, gli abiti da sera in stile parigino frusciavano contro i grembiuli da lavoro, maglioni contro soprabiti eleganti, e ancora i cappelli portati di traverso della Decima Strada che graffiavano le tese a quelli di Riverside Drive. C'erano proprio tutti; addirittura una delegazione molto ben rappresentativa della malavita, come non se ne vedevano da nessuna parte se non in una stazione di polizia il giorno dopo una retata. C'erano ragazze di Greenwich Village, e altre più serie e giovani da Columbia Heights. C'erano strilloni, venditori ambulanti, commessi viaggiatori, impiegati, cassiere, stenodattilografe, debuttanti, capoinfermiere, segretarie e fanciulle d'ogni sorta. C'era davvero tutta la città, che attendeva il proprio turno al botteghino per avere il biglietti e nel frattempo guardava in alto la scritta:
KING KONG! L'OTTAVA MERAVIGLIA DEL MONDO
'Ma cosa sarà?' chiede la Decima Strada in persona, da sotto un cappello portato di traverso.
'Una specie di gorilla, dicono.' rispose Park Avenue da sotto un cappello a cilindro, di traverso anche quello.
'Volete scherzare!' disse la Decima Strada con una certa diffidenza.
'Ehi' disse una bombetta del Bronx 'Più grande di un elefante ho sentito dire. Un mio amico conosce un tipo che lavora dietro le quinte.'
'Ah sì?' disse il grembiule da lavoro ' E che tipo di spettacolo farà, dei trucchi?'
'Santo cielo!' disse un abito in stile parigino 'Che gentaglia!'
'Ma sentitela!' sibilò la tesa di un cappello di Riverside "Venti dollari per un biglietto e quella ci chiama gentaglia."
Ciao bella!
RispondiEliminasenti volevo chiederti una cosa..riusciresti ad elencare i tuoi libri preferiti di sempre?
So che non è per niente facile!!
Un bacio grande
Ale
Carissima... la tua sfida è stata accolta! Pubblicazione del post già pianificata, in arrivo su questi schermi! ^_^
RispondiEliminaRileggendolo forse ci sono poche "sorprese", evidentemente il mio mood del momento era molto tendente ai grandi classici..... Fammi sapere che ne pensi!
Un abbraccio
Letizia
Uh non vedo l'ora di leggerlo!
RispondiEliminaMagari potrei risponderti con la mia lista di preferiti ^___^
Buona serata