venerdì 19 aprile 2019

GERALD DURRELL - L'Isola degli Animali / Il Giardino degli Dei

DOVE e QUANDO: Corfù (Grecia), anni '30.



Di nuovo qui, come era inevitabile accadesse; d'altronde, quando al termine della lettura de "La mia famiglia e altri animali" ho ritrovato mio figlio commosso fino alle lacrime per il dolore di doversi separare da Gerry e dagli altri meravigliosi personaggi che gli orbitano attorno, non potevo non mettermi immediatamente alla ricerca degli altri due capitoli della trilogia, come da lui esplicitamente richiesto con occhi gocciolanti.
Rieccoci quindi a Corfù, pronti per proseguire lo straordinario viaggio attraverso la luminosa infanzia di quello che sarebbe poi divenuto, negli anni a venire, un noto naturalista e che per noi, pagina dopo pagina, diventa semplicemente Gerry, il ragazzino che, soperto di polvere e sudore, trascinandosi appresso una piccola squadra di cani ed una gran quantità di barattoli, si aggira per le stradine sterrate, talvolta sotto il sole, talvolta scivolando sotto l'ombra acquosa degli ulivi, osservando con stupore tutte le meraviglie che la natura gli srotola davanti, stagione dopo stagione.
Premettiamo subito una cosa; se avete letto il primo libro e lo avete trovato lento, noioso, apparentemente priva di una trama con capo e coda, va da sè che anche in questo caso l'impressione che avreste è esattamente la medesima. Per accostarsi a questi libri - ed amarli - occorre entrare nell'ottica che si tratta di una raccolta (articolata in tre libri) di una serie di ricordi d'infanzia, nei quali, per via dell'indole tutta particolare del protagonista, molto spesso si indugia attraverso dettagliate descrizioni dei paesaggi o dei comportamenti animali, senza che, per molte pagine, nulla di significativo accada. Lo spirito con cui accostarsi a Durrell non è quello di una lettura che colpisca, o che sorprenda, o che smuova cose; è piuttosto l'atteggiamento di un viaggiatore lento, uno che voglia semplicemente essere trasportato, indugiare, osservare, annusare, assaporare.
Per stessa ammissione dell'autore, nelle prime pagine de "L'Isola degli Animali", nella stesura del primo libro erano stati accuratamente selezionati una serie di episodi, ritenuti più significativi; nel secondo e nel terzo trovano dunque spazio tutti quei racconti che - ci dice Durrell - a suo malincuore era stato costretto a lasciar fuori, per meri motivi di "volume"; ecco dunque tante, nuove, piccole storie, deliziosamente incastrate come piccoli monili all'interno della poderosa struttura descrittiva che costituisce l'ossatura del romanzo. Qui le descrizioni sono costanti, intense, multisensoriali, tanto che - credo di averlo scritto già nella recensione al primo libro - ci si rende conto, chiudendo il libro, di aver vissuto una sorta di esperienza "extracorporea", quasi percependo sulla pelle polvere e sudore e nelle narici il profumo della terra indorata dal sole e dell'aria salmastra.
Io, questo va detto, sono sempre stata amante delle descrizioni; mi ci immergo dentro, da amante quale sono dei "viaggi di carta ", e mi lascio andare, trama o non trama.
Ci sono storie che non sembrano avere il vezzo di trasmettere messaggi nè di far vivere avventure, ma semplicemente di portarci fuori dal nostro mondo, in una piccola oasi lontana di pace; e certamente la trilogia di Corfù appartiene a questa preziosa categoria di libri.
Nel secondo e terzo capitolo, dunque, osserviamo con serenità il susseguirsi delle stagioni, che fa da sfondo alla vita quotidiana dei pazienti e placidi isolani. Conosciamo gli aspetti talvolta più crudi della vita di campagna ( senza voler fare "spoiler", rimando al terzo volume, ed all'episodio in cui Gerry va a scegliere uno dei cuccioli appena nati dall'ossuta cagnetta di una vecchia contadina); entriamo in punta di piedi, da ospiti riguardosi, nelle usanze corfiote, assistendo ad un matrimonio ed addirittura ad un parto; sorridiamo con i tanti, piccoli equivoci che l'impaziente "fame di natura" di Gerry finiscono per suscitare, creando spesso attriti specialmente con il pungente Larry, fratello maggiore nonchè letterato, con la bizzarra tendenza ad invitare alla villa gli ospiti più improbabili, davanti allo sguardo paziente seppur esasperato della mamma.
Volendo condensare in poche righe il succo del secondo e terzo libro, diciamo che forse qui abbiamo riso meno - anche se risate non ne sono mancate certamente, specialmente quando, nel terzo volume, la mamma decide di invitare per il tè l'ossequiosa rappresentante di una società per la protezione degli animali proprio quando, con l'aiuto dell'abile cacciatore Leslie, Gerry decide di procacciarsi una bella scorta di passeri per alimentare la sua nidiata di gufetti.
In compenso, abbiamo avuto di nuovo - e forse anche più che nel primo volume - tanti spunti di riflessione, soprattutto attraverso i piccoli "spaccati" di società che Durrell con penna abile ci mostra, parlandoci tra le righe - nemmeno tanto velatamente - di omosessualità e di differenze razziali, e di come , si spera, ciò che un tempo scandalizzava adesso non dovrebbe farlo più, e di come, oggigiorno, si vada progressivamente appiattendo il divario tra le usanze di oriente ed occidente.
Insomma, tre libri dal ritrmo lento e dal sapore certamente didascalico, per certi versi, che però offrono sorrisi e una visione multisfaccettata che ci consente, una volta chiuso e ritornati nel presente, di riflettere su ciò che siamo, e dove stiamo andando.
Per il resto, una possente, meravigliosa trilogia piena zeppa di profumi, sapori, suoni, capace di strappare al presente il lettore che voglia lasciarsi andare, immergendolo in un mondo quieto, sonnolento, fatto di stagioni che si susseguono ciclicamente scandite dai ritmi di fioritura della natura; un mondo di api che ronzano, di pioggia che scroscia rumorosa, di gufi che solcano l'aria imbronciati, trasportati da ali silenziose, di orribili e fameliche creature acquatiche osservate con stupore attraverso un vetro, di acquitrini affollati di vita e silenziosi uliveti addormentati nella calura pomeridiana.
Un mondo nel quale rimbrotta in lontananza l'eco di una guerra che inizia a sobbollire sotto il coperchio.
Un mondo che, forse, da quella guerra non emergerà più uguale a prima.

UN ASSAGGIO:

"Sul finire dell'estate c'era la vendemmia. Per tutto l'anno le vigne facevano parte del paesaggio, ma solo quando arrivava la vendemmia tornavano in mente tutti gli avvenimenti che l'avevano preceduta. Ti ricordavi com'erano d'inverno, quando le viti sembravano morte e stavano inerti come tanti pezzi di legno, ficcati in terra uno dopo l'altro, una fila dopo l'altra; e del giorno di primavera in cui per la prima volta avevi notato un piccolo splendore verde su ogni vite, quello delle foglioline delicate e ricce che si andavano aprendo. Poi le foglie diventavano sempre più grandi e pendevano sulle viti, come grandi mani verdi che si scaldavano al calore del sole. Dopodichè ecco apparire i grappoli, minuscoli grumi verdi su un gambo ramificato, che con la luce del sole gradualmente crescevano e si inturgidivano fino ad assomigliare alle uova di giada di qualche strano mostro marino."

lunedì 8 aprile 2019

FOLCO TERZANI - Il Cane, Il Lupo e Dio



DOVE: non specificato, tra una grande città e le montagne boscose
QUANDO: al giorno d'oggi

Ci sono libri che fanno, per citare Venditti, "dei giri immensi". Ecco dunque che una carissima amica, che pur avendo visto mio figlio solo due o tre volte pare averne perfettamente "captato" l'essenza, mi consiglia questo libro, che lei ha appena terminato, sostenendo che gli piacerà. Confesso di aver letto la trama, con un certo scetticismo riguardo al fatto che lui potesse capirlo; in ogni caso, fidandomi con tutto il cuore dell'istinto di lei, ecco dunque che gliel'ho proposto. Ed ecco dunque che lui lo divora in un'unica sera, avvolto nella luce calda della sua abat-jour, ed ecco che la mattina dopo, con gli occhi umidi (ahimè, ha ereditato dalla mamma oltre ai capelli indomabili pure la tendenza al luccicone ^_^ ) mi dice che è il libro più bello che lui abbia mai letto.
Ed ecco che, concludendo, questo libro come era inevitabile finisce tra le mie mani, con la raccomandazione "mamma, leggilo, è bellissimo".
Ammetto, prima di cominciare a snocciolare come sempre le mie impressioni con un flusso incontrollato, che non è il tipo di libro che mi avrebbe normalmente attratto. O meglio; è decisamente il tipo di libro che mi avrebbe chiamato a gran voce in un certo periodo della mia vita, quando digerivo ancora Hesse - eppure mi riprometto sempre di riaccostarmici adesso, con occhi maturi - e non disdegnavo tutti quei libri che, in modo più o meno aperto, strizzassero l'occhio ad una certa spiritualità. Ma in questa fase della mia vità, sarà l'età, saranno le mille cose da fare, sarà la continua stanchezza, è un genere letterario che ho temporaneamente accantonato, preferendo titoli che mi consentano semplicemente di viaggiare altrove con la mente, senza necessariamente trasmettermi dei messaggi.
E' con questo spirito duplice, dunque - scetticismo da un lato, "core de mamma" dall'altro - che, valigia alla mano, mi sono avventurata in questo breve viaggio, che in poco più di un'ora mi ha portato dall'asfalto di una città distratta al folto di un bosco umido fin sulla vetta bianchissima di una montagna, in compagnia di un anonimo cane divenuto improvvisamente un randagio arruffato, e dell'affascinante branco di lupi che di lui decide di prendersi cura.
È un libro particolare, un tantino naive e prevedibile in certi punti, che fatico forse a collocare (troppo complesso come testo "spirituale" da bambini, troppo semplice per gli adulti); un libro che, semplicemente, narra la sua storia a chi crede di volerla ascoltare.
E pur non essendo riuscita a commuovermi fino alle lacrime come mio figlio - sarà l'età, che mi ha privato di quel velo di magia con cui lui sa ancora guardare le cose - non posso dire che non mi abbia coinvolto. Complici i meravigliosi acquerelli che illustrano il cammino fisico e mentale del Cane, mi sono sentita avvolta da quel mondo umido e lontano, sforzandomi di distaccarmi dal presente per tornare al passato lontano in cui noi, piccoli e spauriti nella nebbia, affrontavamo i terribili e potenti spettacoli naturali con un timore reverenziale, costruendo attorno ad essi la nostra idea del "Divino".
Ecco, la chiave di lettura per gli adulti che si accostano a questo libro è forse semplicente questa; interrogarsi - da credenti o da atei, poco importa - sul senso della divinità, sul perchè l'Uomo ne abbia sentito il bisogno e su come il progresso ed il conseguente allontanamento dell'Uomo dallo splendore terribile della Natura abbia in parallelo spogliato il divino dalle sue manifestazioni primordiali, spostando il focus sulle relazioni tra gli uomini anzichè sui suoi bisogni elementari.
Una storia odorosa di terra, silenziosa come un bosco solcato dalle quiete falcate dei lupi, gorgogliante di ruscelli ghiacciati e intrisa dell'umido respiro della nebbia, destinato tutto sommato a sollevare interrogativi in coloro che scelgano di accostarvisi con la giusta predisposizione d'animo.

UN ASSAGGIO:

"Soffiava un vento nuovo che veniva dal nord. Portava l'odore di boschi d'abete e di neve. Il Cane lo sentiva quando chiudeva gli occhi. La neve non era ancora arrivata ma gli alberi si preparavano a modo loro al freddo, cambiando il colore degli abiti e poi svestendosi completamente. Il bosco era pieno del fruscio delle foglie che cadevano".