mercoledì 5 agosto 2020

DANIEL PENNAC - Storia di un corpo


DOVE: Francia
QUANDO: tra il 1936 ed il 2010


Ho incominciato a leggere questo libro, lo confesso, con un certo scetticismo; mi chiedevo dove volesse andare a parare. E, confesso anche, sono andata avanti soprattutto perchè mi fido di Pennac, della sua penna, e sapevo che non mi avrebbe mai e poi mai deluso.
Ed infatti, quello che inizialmente seppur intrappolandomi fin dalle prime righe con uno stile scorrevole, sembrava una storia senza capo ne coda, ha finito per emozionarmi, lasciandomi - come solo chi ama leggere può capire - dolcemente delusa dal fatto che tutto fosse finito. E soprattutto, con uno sconfinato affetto verso la voce narrante, il protagonista del libro, del quale credo tra l'altro che mai venga fatto il nome - o sfugge a me, in tal caso chiedo venia.
Dunque, eccoci qui. Millenovecentotrentasei, ad un passo dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nella vita di uno smilzo dodicenne che combatte con le sue paure e con un corpo nel quale stenta a riconoscerci. Un po' come accade a tutti, certo. Ma qui lui ha un'intuizione geniale. Inizia a scrivere un diario. Ma non - come abbiamo fatto, anche qui, un po' tutti - un classico diario nel quale dare sfogo alle nostre emozioni più intime, no. Decide che, d'ora in avanti, lui terrà un diario del suo corpo. Nessuno spazio alle emozioni, che sono per definizione soggettive e finiscono per falsare l'oggettività di ciò che è accade, lasciandone negli anni un ricordo distorto, Via l'emotività, che spesso finisce per tradirci e camuffare la realtà. Il corpo, nella sua fredda oggettività, sarà il protagonista del racconto. Il corpo con tutte le sue manifestazioni, anche quelle più imbarazzanti, anche quelle patologiche, anche ciò che verrebbe considerato disgustoso da raccontare, ma che inevitabilmente rappresenta - secondo il protagonista, l'unico modo per tenere traccia di sè, nel corso degli anni.
Ecco, qui ammetto di aver storto il naso, e di essere - come ho scritto prima - rimasta perplessa. Riuscirà davvero nelle prossime pagine a catturarmi ed emozionarmi una storia in cui, ci avverte l'autore, le emozioni saranno bandite per lasciare spazio solo e soltanto alle manifestazioni fisiche?
Ed ecco che Pennac, con la magia incontrastata della sua penna, riesce nell'incanto. Perchè se ho iniziato le prime pagine della storia con questa domanda, ho chiuso le ultime con la malinconia di chi ha lasciato un vecchio amico; perchè inevitabilmente, pagina dopo pagina, anno dopo anno, nelle brevi - spesso brevissime - annotazioni del protagonista ricostruiamo la sua vita, intuiamo sullo sfondo i mutamenti sociali e familiari, ma soprattutto ci affezioniamo a lui.
A lui ed al suo corpo, che osserviamo crescere, e poi lentamente mutare fino alla vecchiaia, accompagnandolo fino al momento della morte che arriva senza angoscia, con serenità.
Confesso di averlo seguito con affetto, ma immagino anche che, questa stessa lettura a vent'anni non mi avrebbe rapito come ha fatto ora, a quaranta, quando inizio io stessa ad osservare nello specchio i primi, chiari segni di mutamento in quel corpo che, assieme alla mente, forma il mio "io".
Trasformazioni lievi, impercettibili, che taltolta ci inquietano ma che, ci insegna questo libro, sono inevitabili.
E la cosa migliore che possiamo fare è lasciarle andare,  accettare che il tempo ci trasformi ma soprattutto amarci, amare sconfinatamente questo piccolo corpo imperfetto che la natura ci ha dato.
Paradossalmente, un libro così materiale finisce invece per spingerci altrove, più in alto, ad interrogarci su chi siamo e cosa ci rappresenti davvero, e a riflettere su quanto negli anni veramente siamo in grado di guardarci a fondo, con indulgenza, ed amarci.
In genere non mi sbilancio a dare "consigli per la lettura", mi limito a lasciar correre le dita sulla tastiera trascrivendo come riesco le emozioni che la lettura mi trasmette; ma ecco, in questo caso mi sento di dire che è un libro da leggere se state scavalcando gli 'anta', o se siete in un momento particolare della vostra vita - che può essere prima, o dopo, non c'è mica una soglia fissa per queste cose - in cui tirate le somme, e vi osservate per la prima volta scoprendovi cambiati

Lascio volutamente un assaggino piccolo piccolo, con una delle frasi che più mi sono rimaste dentro e che racchiude secondo me perfettamente lo spirito del libro.
Un piccolo, costante inno al cambiamento, alla vita e ad affrontarla sinceramente, senza paura, amando innanzitutto noi stessi.

UN ASSAGGIO:

"55  anni, 4 mesi, 21 giorni     Sabato 3 marzo 1979

Certi cambiamenti del corpo mi fanno pensare a quelle vie che percorri da anni. Un bel giorno un negozio chiude, l'insegna è scomparsa, il locale è vuoto, c'è un cartello affittasi, e ti domandi cosa c'era prima, la settimana scorsa."

giovedì 30 luglio 2020

KAHNO NASHIKI - Un' Estate con la Strega dell' Ovest

DOVE: Giappone
QUANDO: Anni '90

Ho un debole per gli autori giapponesi da quando per la prima volta ho incontrato - librescamente parlando - Banana Yoshimoto ed il suo Kitchen. Da allora, ogni volta che ne ho l'occasione, mi avventuro con altri autori, uscendone sempre piacevolmente stordita. Sarà che a me piace leggere storie "distanti" dal mio quotidiano, sarà che faccio parte di quella generazione di ex bambini degli anni '80 nutrita con cartoni animati in cui il Giappone era spesso l'ambientazione, finisco sempre per immergermi nella lettura con un pizzico di ritrovato stupore infantile. Specialmente quando, come in questo caso, fin dalle prime righe si intuisce che, tra le pieghe della storia, si annida un risvolto incantato.

Difficile delineare in maniera netta una trama in questa storia - che poi, a ben vedere, è l'insieme di quattro storie legate tra loro da un sottile filo magico. Partiamo da lei, la giovane protagonista Mai, tredicenne che combatte con una grave forma d'asma e contro l'ancor più feroce bullismo delle sue compagne di scuola. Non quella forma di bullismo fatta di violenza aperta, ma quella più sottile - e forse ancor più feroce - dell'isolamento sociale. Così, dall'indifferenza rumorosa della città, la mamma decide di spedirla per qualche tempo dalla nonna, in una placida casetta immersa a metà tra la campagna ed il bosco, ad un'ora di macchina.
L'idea è quella di lasciare alla ragazza un po' di tempo per respirare - letteralmente e psicologicamente - ritemprando le energie fisiche e mentali per riprendere poi le redini della propria esistenza; e Mai, che alla nonna di origini inglesi è affezionata, va. Eccoci dunque sole, con lei e l'anziana ma energica nonna, vedova del grande amore della sua vita eppure serenamente immersa nella sua tranquilla vita bucolica, fatta di tanti piccoli impegni quotidiani accompagnati dal ritmo naturale del giorno. Alba, tramonto, uccelli che cinguettano, cime degli alberi mosse morbidamente dal vento. Il bollitore per il tè, presenza costante e rassicurante, benevolo dispensatore di conforto ogni qualvolta ve ne sia bisogno. Le galline che razzolano nel giardino sul retro. La terra morbida nella quale affondano le loro radici umide decine e decine di piante, con le quali Mai prende lentamente confidenza, accompagnata dalla nonna che con affetto e devozione le accudisce e le coltiva. Un quieto angolo di paradiso, nel quale però aleggia un che di inquieto, che Mai percepisce eppure non riesce a definire, in particolare nella figura di Gengi, vicino servizievole che assiste la nonna e che tuttavia continua ad ispirare alla nipote un forte senso di disgusto.
E poi, c'è lei, la nonna. Sorridente, equilibrata, serena. La nonna che comunica a Mai che la insegnerà a gestire i poteri di cui è dotata. Sì, perchè la nonna è una strega, e Mai è lì per completare a sua volta il duro addestramento che farà diventare anche lei una strega a tutti gli effetti.
Ma non aspettatevi azione, incantesimi, bacchette e nemici oscuri alla Harry Potter. Qui di incantesimi non se ne vedono, tutto è velato, sottinteso, poetico. Tanto che, fino alla fine, restiamo col dubbio. Eppure c'è molto di magico, seppur non esplicito come vorrebbero quelli di noi più "affamati d'azione", nel lento e costante addestramento a cui la nonna la sottopone; perchè per dominare il suo potere, Mai deve innanzitutto imparare a controllare la sua mente, dominarla, porle dei limiti e costringerla a superarli quando questi la imbrigliano lontano dalla sua felicità.
Ed è così che, lontana dalla frenesia della vita di città, immersa in un ritmo lento e naturale e presa da tanti picccoli impegni quotidiani, Mai si addestra, e cresce.
Più di così non voglio dire, il grosso di questa storia non sta tanto nella trama, quanto nell'atmosfera che vi si respira. Di terra di bosco umida, di erbe aromatiche, di foglie di tè in infusione.
Diciamo pure questo: che io ho sempre avuto un rapporto stupendo con le mie nonne, ma in particolare con la mia nonna paterna; ed ora che ho scavalcato i quaranta i ricordi d'infanzia più preziosi sono quelli di me e lei, nelle estati da ragazzina, quando restavo a dormire in casa sua - casa che per me era meglio di qualsiasi castello incantato. E di conseguenza, tutte le storie che partono dal racconto di un legame speciale tra nonna e nipote finiscono inevitabilmente per attrarmi. Mi era successo con Susanna Tamaro, e mi è successo con questo libro. E' inevitabile dunque che, in questi casi, la mia mente aggiunga ulteriore magia alla lettura, e che quindi la mia visione sia poco obiettiva.
Ma in fondo, il bello dei libri è anche quello.
Che ti tirano fuori i ricordi, le emozioni, anche quelli sopiti, in maniera talvolta inaspettata. Silenziosi come specchi, leali come vecchi amici.

UN ASSAGGIO:

"Poi, ricevuta una scodella dalla nonna, uscì e si diresse verso il pollaio. Non era la prima volta che andava a prendere le uova. Le era già capitato in precedenza di fermarsi a dormire lì e di raccoglierle al mattino insieme alla mamma. Uova tiepide, appena deposte, con un po' di escrementi e di piume attaccati. Per dirla tutta, a Mai disgustava mangiare uova fresche. E le proteste delle galline ovaiole, che sembravano dire ' che cosa fai?' la facevano sentire in colpa. Però Mai non se la sentiva ancora di dirlo alla nonna in quei termini.


lunedì 6 luglio 2020

EMOZIONARSI CON L'ILIADE nel 2020

E' trascorso un anno dal mio ultimo post; e come ogni volta accade, quando sono costretta ad accantonare questo mio piccolo angolino dedicato ai libri, lo faccio sempre a malincuore.
Ma d'altronde la vita reale esiste ed è pressante, oltre che bellissima; ed io essendo tendenzialmente "antica" sono ancora dell'idea che, se si scrive su un blog, lo si fa per proporre dei contenuti, percui cerco per ora di non cadere in quella "trappola social" in cui vedo cadono molti book-blogger, di postare frettolosamente una foto (foto belle, per carità, foto fatte da Dio alle quali io non potrei mai agognare) acchiappa-like, con due o tre righe si accompagnamento.
Pertanto, scrivo solo se ho tempo di farlo. E come mamma lavoratrice, il tempo è quello che è, specie quando affronti due mesi e oltre di didattica online.

Oggi, in un attimo di quiete prima della tempesta - il grande al mare col padre, la piccola in fase di rientro dal mare coi nonni - voglio dedicare un post a qualcosa che stamattina mi ha stravolto, in senso positivo.
Non ho tempo per recensire uno dei tanti libri che ho impilati sul comodino da mesi - perchè se c'è una cosa che ho trovato comunque il tempo di fare, è stato leggere, leggere, leggere - ma voglio segnalare un meraviglioso monologo teatrale, piccola perla a disposizione di tutti, su youtube, scoperta a mia volta sul profilo facebook di una mia ex insegnante di liceo.

 


Eccolo, dunque. Omero non Piange Mai. Il primo di due episodi ( il secondo è dedicato all'Odissea) che il Teatro Stabile del Veneto propone su Youtube, ci racconta in maniera moderna e coinvolgente l'Iliade di Omero, condensata in poco più di 45 minuti e raccontata magistralmente da Andrea Pennacchi.

Ecco, suppongo che qualcuno, alle parole "Iliade", "teatro", "46 minuti" abbia storto il naso, o frettolosamente chiuso il post. Non fatelo. Lasciate un attimo alle spalle i pregiudizi, e trovate il tempo - la sera, al posto di una cazzatella in TV. O come me, la mattina del giorno libero, mentre sistemate casa - per lasciarvi coinvolgere ed emozionare.

Qui non c'è nulla di noioso, di didascalico, di distante. Qui c'è una storia viva, raccontata a tratti in chiave contemporanea, vibrante di emozioni, che strappa risate e lacrime come solo le grandi storie sanno fare.
C'è la straordinaria ed unica esperienza di riscoprire l'Iliade così com'era, un racconto destinato ad essere raccontato oralmente, stavolta in una prosa semplice, contemporanea, viva e vicina. Ci sono emozioni umane e divine, c'è la guerra, c'è - tra le righe - il racconto di un ragazzino che si accosta per la prima volta, anni fa, a questa storia apparentemente impenetrabile e la meraviglia di scoprirne la bellezza. Ci sono gli eroi, le loro lacrime, le loro passioni, talvolta le loro paure.
C'è la bellezza della narrazione. C'è l'amore, il dolore, il sorriso.
C'è l'estrema vitalità di un classico che non cesserà MAI di appassionarci, ogni volta che viene riproposto.

Dategliela, un'opportunità. E' youtube, d'altronde. Non dovete pagare nulla. Non temete di inabissarvi in qualcosa di noioso, antico, scolastico. Non vi deluderà. Omero non lo fa mai.