giovedì 30 luglio 2020

KAHNO NASHIKI - Un' Estate con la Strega dell' Ovest

DOVE: Giappone
QUANDO: Anni '90

Ho un debole per gli autori giapponesi da quando per la prima volta ho incontrato - librescamente parlando - Banana Yoshimoto ed il suo Kitchen. Da allora, ogni volta che ne ho l'occasione, mi avventuro con altri autori, uscendone sempre piacevolmente stordita. Sarà che a me piace leggere storie "distanti" dal mio quotidiano, sarà che faccio parte di quella generazione di ex bambini degli anni '80 nutrita con cartoni animati in cui il Giappone era spesso l'ambientazione, finisco sempre per immergermi nella lettura con un pizzico di ritrovato stupore infantile. Specialmente quando, come in questo caso, fin dalle prime righe si intuisce che, tra le pieghe della storia, si annida un risvolto incantato.

Difficile delineare in maniera netta una trama in questa storia - che poi, a ben vedere, è l'insieme di quattro storie legate tra loro da un sottile filo magico. Partiamo da lei, la giovane protagonista Mai, tredicenne che combatte con una grave forma d'asma e contro l'ancor più feroce bullismo delle sue compagne di scuola. Non quella forma di bullismo fatta di violenza aperta, ma quella più sottile - e forse ancor più feroce - dell'isolamento sociale. Così, dall'indifferenza rumorosa della città, la mamma decide di spedirla per qualche tempo dalla nonna, in una placida casetta immersa a metà tra la campagna ed il bosco, ad un'ora di macchina.
L'idea è quella di lasciare alla ragazza un po' di tempo per respirare - letteralmente e psicologicamente - ritemprando le energie fisiche e mentali per riprendere poi le redini della propria esistenza; e Mai, che alla nonna di origini inglesi è affezionata, va. Eccoci dunque sole, con lei e l'anziana ma energica nonna, vedova del grande amore della sua vita eppure serenamente immersa nella sua tranquilla vita bucolica, fatta di tanti piccoli impegni quotidiani accompagnati dal ritmo naturale del giorno. Alba, tramonto, uccelli che cinguettano, cime degli alberi mosse morbidamente dal vento. Il bollitore per il tè, presenza costante e rassicurante, benevolo dispensatore di conforto ogni qualvolta ve ne sia bisogno. Le galline che razzolano nel giardino sul retro. La terra morbida nella quale affondano le loro radici umide decine e decine di piante, con le quali Mai prende lentamente confidenza, accompagnata dalla nonna che con affetto e devozione le accudisce e le coltiva. Un quieto angolo di paradiso, nel quale però aleggia un che di inquieto, che Mai percepisce eppure non riesce a definire, in particolare nella figura di Gengi, vicino servizievole che assiste la nonna e che tuttavia continua ad ispirare alla nipote un forte senso di disgusto.
E poi, c'è lei, la nonna. Sorridente, equilibrata, serena. La nonna che comunica a Mai che la insegnerà a gestire i poteri di cui è dotata. Sì, perchè la nonna è una strega, e Mai è lì per completare a sua volta il duro addestramento che farà diventare anche lei una strega a tutti gli effetti.
Ma non aspettatevi azione, incantesimi, bacchette e nemici oscuri alla Harry Potter. Qui di incantesimi non se ne vedono, tutto è velato, sottinteso, poetico. Tanto che, fino alla fine, restiamo col dubbio. Eppure c'è molto di magico, seppur non esplicito come vorrebbero quelli di noi più "affamati d'azione", nel lento e costante addestramento a cui la nonna la sottopone; perchè per dominare il suo potere, Mai deve innanzitutto imparare a controllare la sua mente, dominarla, porle dei limiti e costringerla a superarli quando questi la imbrigliano lontano dalla sua felicità.
Ed è così che, lontana dalla frenesia della vita di città, immersa in un ritmo lento e naturale e presa da tanti picccoli impegni quotidiani, Mai si addestra, e cresce.
Più di così non voglio dire, il grosso di questa storia non sta tanto nella trama, quanto nell'atmosfera che vi si respira. Di terra di bosco umida, di erbe aromatiche, di foglie di tè in infusione.
Diciamo pure questo: che io ho sempre avuto un rapporto stupendo con le mie nonne, ma in particolare con la mia nonna paterna; ed ora che ho scavalcato i quaranta i ricordi d'infanzia più preziosi sono quelli di me e lei, nelle estati da ragazzina, quando restavo a dormire in casa sua - casa che per me era meglio di qualsiasi castello incantato. E di conseguenza, tutte le storie che partono dal racconto di un legame speciale tra nonna e nipote finiscono inevitabilmente per attrarmi. Mi era successo con Susanna Tamaro, e mi è successo con questo libro. E' inevitabile dunque che, in questi casi, la mia mente aggiunga ulteriore magia alla lettura, e che quindi la mia visione sia poco obiettiva.
Ma in fondo, il bello dei libri è anche quello.
Che ti tirano fuori i ricordi, le emozioni, anche quelli sopiti, in maniera talvolta inaspettata. Silenziosi come specchi, leali come vecchi amici.

UN ASSAGGIO:

"Poi, ricevuta una scodella dalla nonna, uscì e si diresse verso il pollaio. Non era la prima volta che andava a prendere le uova. Le era già capitato in precedenza di fermarsi a dormire lì e di raccoglierle al mattino insieme alla mamma. Uova tiepide, appena deposte, con un po' di escrementi e di piume attaccati. Per dirla tutta, a Mai disgustava mangiare uova fresche. E le proteste delle galline ovaiole, che sembravano dire ' che cosa fai?' la facevano sentire in colpa. Però Mai non se la sentiva ancora di dirlo alla nonna in quei termini.


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