QUANDO: tra il 1936 ed il 2010
Ho incominciato a leggere questo libro, lo confesso, con un certo scetticismo; mi chiedevo dove volesse andare a parare. E, confesso anche, sono andata avanti soprattutto perchè mi fido di Pennac, della sua penna, e sapevo che non mi avrebbe mai e poi mai deluso.
Ed infatti, quello che inizialmente seppur intrappolandomi fin dalle prime righe con uno stile scorrevole, sembrava una storia senza capo ne coda, ha finito per emozionarmi, lasciandomi - come solo chi ama leggere può capire - dolcemente delusa dal fatto che tutto fosse finito. E soprattutto, con uno sconfinato affetto verso la voce narrante, il protagonista del libro, del quale credo tra l'altro che mai venga fatto il nome - o sfugge a me, in tal caso chiedo venia.
Dunque, eccoci qui. Millenovecentotrentasei, ad un passo dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nella vita di uno smilzo dodicenne che combatte con le sue paure e con un corpo nel quale stenta a riconoscerci. Un po' come accade a tutti, certo. Ma qui lui ha un'intuizione geniale. Inizia a scrivere un diario. Ma non - come abbiamo fatto, anche qui, un po' tutti - un classico diario nel quale dare sfogo alle nostre emozioni più intime, no. Decide che, d'ora in avanti, lui terrà un diario del suo corpo. Nessuno spazio alle emozioni, che sono per definizione soggettive e finiscono per falsare l'oggettività di ciò che è accade, lasciandone negli anni un ricordo distorto, Via l'emotività, che spesso finisce per tradirci e camuffare la realtà. Il corpo, nella sua fredda oggettività, sarà il protagonista del racconto. Il corpo con tutte le sue manifestazioni, anche quelle più imbarazzanti, anche quelle patologiche, anche ciò che verrebbe considerato disgustoso da raccontare, ma che inevitabilmente rappresenta - secondo il protagonista, l'unico modo per tenere traccia di sè, nel corso degli anni.
Ecco, qui ammetto di aver storto il naso, e di essere - come ho scritto prima - rimasta perplessa. Riuscirà davvero nelle prossime pagine a catturarmi ed emozionarmi una storia in cui, ci avverte l'autore, le emozioni saranno bandite per lasciare spazio solo e soltanto alle manifestazioni fisiche?
Ed ecco che Pennac, con la magia incontrastata della sua penna, riesce nell'incanto. Perchè se ho iniziato le prime pagine della storia con questa domanda, ho chiuso le ultime con la malinconia di chi ha lasciato un vecchio amico; perchè inevitabilmente, pagina dopo pagina, anno dopo anno, nelle brevi - spesso brevissime - annotazioni del protagonista ricostruiamo la sua vita, intuiamo sullo sfondo i mutamenti sociali e familiari, ma soprattutto ci affezioniamo a lui.
A lui ed al suo corpo, che osserviamo crescere, e poi lentamente mutare fino alla vecchiaia, accompagnandolo fino al momento della morte che arriva senza angoscia, con serenità.
Confesso di averlo seguito con affetto, ma immagino anche che, questa stessa lettura a vent'anni non mi avrebbe rapito come ha fatto ora, a quaranta, quando inizio io stessa ad osservare nello specchio i primi, chiari segni di mutamento in quel corpo che, assieme alla mente, forma il mio "io".
Trasformazioni lievi, impercettibili, che taltolta ci inquietano ma che, ci insegna questo libro, sono inevitabili.
E la cosa migliore che possiamo fare è lasciarle andare, accettare che il tempo ci trasformi ma soprattutto amarci, amare sconfinatamente questo piccolo corpo imperfetto che la natura ci ha dato.
Paradossalmente, un libro così materiale finisce invece per spingerci altrove, più in alto, ad interrogarci su chi siamo e cosa ci rappresenti davvero, e a riflettere su quanto negli anni veramente siamo in grado di guardarci a fondo, con indulgenza, ed amarci.
In genere non mi sbilancio a dare "consigli per la lettura", mi limito a lasciar correre le dita sulla tastiera trascrivendo come riesco le emozioni che la lettura mi trasmette; ma ecco, in questo caso mi sento di dire che è un libro da leggere se state scavalcando gli 'anta', o se siete in un momento particolare della vostra vita - che può essere prima, o dopo, non c'è mica una soglia fissa per queste cose - in cui tirate le somme, e vi osservate per la prima volta scoprendovi cambiati
Lascio volutamente un assaggino piccolo piccolo, con una delle frasi che più mi sono rimaste dentro e che racchiude secondo me perfettamente lo spirito del libro.
Un piccolo, costante inno al cambiamento, alla vita e ad affrontarla sinceramente, senza paura, amando innanzitutto noi stessi.
UN ASSAGGIO:
"55 anni, 4 mesi, 21 giorni Sabato 3 marzo 1979
Certi cambiamenti del corpo mi fanno pensare a quelle vie che percorri da anni. Un bel giorno un negozio chiude, l'insegna è scomparsa, il locale è vuoto, c'è un cartello affittasi, e ti domandi cosa c'era prima, la settimana scorsa."