mercoledì 26 ottobre 2016

BANANA YOSHIMOTO - Andromeda Heights

DOVE: Giappone, tra città e boschi di montagna
QUANDO: oggi

Shizukuishi porta il nome di una particolare varietà di cacus e vive sola con la nonna in un'isolata casetta sperduta tra i boschi, in montagna, divenuta negli anni metà di un silenzioso pellegrinaggio da parte di chiunque avesse bisogno di conforto. Perchè? Ma perchè la nonna, esperta conoscitrice delle montagne, dei boschi e delle erbe, è in grado di miscelarle sapientemente a produrre dei tè dalle virtù terapeutiche, capaci di calmare e medicare il cuore di chi li sorseggia. Ecco, è bastato questo, per farmi innamorare - per l'ennesima volta, direi - della penna di Banana Yoshimoto.
Va detto che stavolta toccava delle corde a me particolarmente care - come farmacista appassionata di fitoterapia e come amante della montagna, con alle spalle anni di Dolomiti coi miei, da ragazzina, ad immergermi negli odori dei boschi. In ogni caso, da buona viaggiatrice virtuale quale sono, mi sono subito lasciata rapire dal suo solito tocco poetico ed evocante, piombando stavolta nella vita di una giovane ragazza malinconica e solitaria, trapiantata - mai come in questo caso la metafora attinta dal mondo vegetale calza a pennello - in una grande città dopo che la nonna si è trasferita a Malta, per convivere con l'uomo col quale da qualche anno intratteneva una composta e tenera corrispondenza via internet (ecco, anche questa nonna vedova che si rifà una vita con un cliente divenuto poi confidente telematico è una di quelle pennellate con cui la Yoshimoto arricchisce di poesia anche piccoli dettagli, e che io adoro).
Immaginate, quindi, il contrasto: dentro di lei, il silenzio dei boschi di montagna, l'aria tersa, il frusciare dei rami scossi dal vento, lo scricchiolare nascosto di un ramo secco sotto le zampe di un'anonimo animale, la terra umida che penetra con il suo aroma fino nelle narici, la vegetazione bagnata di rugiada, la piccola e silenziosa capanna in cui le mani della nonna miscelavano con amore i suoi celebri tè.
Fuori, il cemento, le luci, il continuo borbottare del traffico, centinaia e centinaia di teste e gambe e cappotti e borse che si affannano frettolose e distratte sui marciapiedi, i palazzi grigi che schermano la luce del sole, l'odore dei gas di scarico, le poche e anemiche piantine in cerca di ossigeno sui terrazzi.
In mezzo, sballottata tra questi sentimenti, la giovane Shizukuishi, senza amici, senza famiglia, con l'unico conforto delle erbe essiccate che ha portato con sè, dei preziosi insegnamenti della nonna sul potere terapeutico di un tè bollente e dei suoi amati, amatissimi cactus, coi quali Shizukuishi parla ed ai quali dedica cure amorevoli, certa che qualunque creatura vivente - sia essa una piantina dalle spine aguzze o un essere umano - sia meritevole d'amore.
Come può questa piccola e fragile diciottenne trovare il suo equilibrio nella giungla asfaltata? Senza svelare troppo della trama - il libro va gustato, lentamente, proprio come una bella tazza di tè - basta dire che interverranno un tramonto in un grande giardino botanico, il giovane custode di quest'ultimo e, soprattutto, Kaede, affascinante sensitivo ipovedente, presso il quale Shizukuishi inizia a lavorare come assistente.
Un libro delicato come un acquerello sulla vita, sui cambiamenti, sulla possibilità straordinaria che abbiamo di intervenire - positivamente - nelle vite degli altri, e sul destino.


UN ASSAGGIO:

"Ci svegliavamo ogni mattina alle cinque per andare a cogliere le erbe medicinali. La prima parte della giornata era dedicata interamente a farle essiccare, tagliarle e ricavarne gli estratti utilizzando una speciale acqua sorgiva o il calore diretto del sole, mentre nel pomeriggio ci occupavamo dei clienti. Nel nostro sgangherato negozio una confezione di tè costava sempre duemila yen, indipendentemente dal numero delle persone che l'acquistavano e dall'impegno che la preparazione aveva richiesto, quindi vivevamo in condizioni piuttosto modeste.
Tutti quelli che passavano, però, fosse anche solo per far visita alla nonna, portavano dei doni, il che ci garantiva almeno da mangiare. Un cacciatore della zona ci regalava carne di cinghiale e di coniglio, e inoltre il fiume era ricco di pesce. In primavera cresceva ogni genere di pianta e non avevamo problemi, le estati erano fresche, d'autunno eravamo indaffarate a raccogliere frutti, gli inverni erano freddi, ma il nostro vicino cacciatore veniva sempre a tagliarci la legna per il camino. Non ho mai avuto la sensazione che ci mancasse qualcosa, anzi, la nostra era una vita molto felice.
Le pareti di casa erano tappezzate di cartoline e lettere di ringraziamento giunte da tutto il Giappone. Quando ci sentivamo un po' abbattute ci bastava guardarle per ricordarci del sorriso di quelle persone e capire che dovevamo continuare a fare del nostro meglio."

martedì 18 ottobre 2016

ALESSANDRO BARICCO - La Sposa Giovane


DOVE: Nord Italia
QUANDO: Non dichiarato, comunque in qualche tempo agli inizi del '900.

Baricco è un autore che non tutti, ahimè, amano. Personalmente adoro le sue atmosfere, i suoi personaggi onirici, il suo stile. Ecco: se non amate Baricco; se, per dire, siete di quelli che non hanno ben digerito Castelli di Rabbia e Oceano Mare, non avvicinatevi alla Sposa Giovane.
Qui, pur non essendo una delle sue opere che io ami maggiormente, c'è tutto lo spirito baricchiano, con le sue ambientazioni sognanti, le atmosfere sospese tra reale ed immaginario, i suoi personaggi malinconicamente poetici, il suo stile a tratti secco e a tratti vischioso. Manna dal cielo, per chi, come me, adora lasciarsi trasportare dalla sua penna in luoghi insoliti. Siamo in un luogo ed un tempo imprecisati - comunque, da qualche parte lassù nel Nord Italia, in una pianura arsa dall'afa in estate e immersa in una nebbia lattiginosa in inverno, agli inizi del '900. Qui, in una solenne ed antica dimora, si muovono silenziosamente come piccoli, composti burattini, i membri di un'agiata famiglia di imprenditori nel settore tessile, anonimi ed austeri, devoti a sontuose colazioni e pigre giornate scandite da rigidi rituali; il tutto sotto la guida sapiente ed esperta di Modesto, storico maggiordomo nonché depositario assoluto di tutte le bizzarre e ritualistiche abitudini dei suoi padroni. Il Padre, mansueto e disciplinato, il cui unico scopo - la vocazione, sarebbe più opportuno dire - sembrerebbe essere quella di riportare ordine nel mondo. La Madre, sfavillante e sensuale, dal torbido e misterioso passato, la cui bellezza pare fosse in grado di gettare nella pazzia i malcapitati che venivano a contatto con lei. La Figlia, umile e bellissima ombra della mamma, con la sfortuna di esser rimasta zoppa. E ancora, il Figlio, spedito in Inghilterra in avanscoperta per poter un giorno ampliare i loro commerci, e lassù sparito in un silenzioso oblio, e lo Zio, arguto dispensatore di consigli benché trascorresse gran parte del giorno immerso in un bizzarro sonno perpetuo. In questa piccola comunità, devota ai propri ordinati ritmi quotidiani, piomba un giorno lei, la Sposa Giovane, che ahimè tutti avenano dimenticato essere stata promessa al Figlio, tempo addietro, e che lasciandosi alle spalle l'Argentina ed una numerosa famiglia di allevatori di bestiame si presenta, puntualissima nel giorno concordato, alla porta della loro dimora, per portare infine a compimento il suo destino.
Peccato che il Figlio, inghiottito in un nulla da cui riemergono solo saltuariamente bizzarri oggetti da lui spediti presso la sua antica dimora, continui ad essere assente; ma la sposa giovane, testarda, ostinata, fatalista, decide di aspettarlo, entrando in punta di piedi anche lei nell'esistenza della Famiglia.
Storia sensuale, femminile, poetica, per certi versi lenta - lentezza che per me non è un difetto, ma quasi un cedere del romanzo ai ritmi pacati di una residenza borghese dell'inizio del secolo scorso, con un retrogusto di malinconica rassegnazione verso il destino e la solita, straordinaria capacità di Baricco di delineare spiriti inquieti, o sognatori, o prepotentemente sensuali, disegnando personaggi mai privi di una qualche caratteristica bizzarra o surreale, il suo marchio inconfondibile.
Un breve viaggio in cui il silenzio è uno degli elementi dominanti, in una immensa, lussuosa dimora persa nella quiete della pianura, in un mondo apparentemente in bilico tra reale ed immaginario, insensato e potente come un sogno, che una volta sfumato lascia sospesi nell'aria del dormiveglia i suoi sfuggenti interrogativi...

UN ASSAGGIO:

"E in effetti, dal nulla, presero ad arrivare, uno ad uno, piccoli uccelli dalla pancia gialla, quasi delle rondini, ma con una loro andatura sconosciuta, e un riflesso di altri orizzonti nelle piume. Ora fa silenzio e ascolta - disse la Figlia. Gli uccelli tracciavano il lago con un volo pacato, a qualche spanna di altezza. Poi, d'un tratto, perdevano quota e diventando velocissimi scendevano a pelo dell'acqua: lì, in un istante, divoravano al volo un insetto che era andato a cercarsi casa, o conforto, sulla crosta umida del lago. Lo facevano con una scioltezza divina, e nel farlo, per un attimo strisciavano con le loro pance gialle sull'acqua: nel silenzio assoluto della campagna inebetita dal caldo, si udiva un fruscio argentino, per un istante, le piume a suonare la pelle dell'acqua. E' il rumore più bello del mondo, disse la Figlia. Lasciò passare del tempo, e un uccello dopo l'altro. Poi lo ripetè: E' il rumore più bello del mondo."