venerdì 29 aprile 2011

CATHLEEN SCHINE - La lettera d'amore



DOVE: Pequot, una tranquilla cittadina della provincia americana
QUANDO: nei giorni nostri

"Cara capra, come ci si innamora?Si casca? Si inciampa, si perde l'equilibrio e si cade sul marciapiedi, sbucciandosi un ginocchio, sbucciandosi il cuore? " Queste le prime, brucianti parole che colpiscono l'occhio della bella Helen, libraia di Pequot quando,in una giornata come tante sorseggia un caffè mentre scorre distrattamente la corrispondenza.
E, quando ti sei faticosamente ricostruita una vita, lasciandoti alle spalle un matrimonio fallito e costruendoti passo passo la tua piccola libreria nella più placida delle cittadine della provincia americana, non ti aspetti certo di ricevere sorprese di stampo sentimentale. Partecipazioni di nozze, la retta per il pagamento del campo estivo di tua figlia, qualche volantino, questo sì; ma ritrovarsi tra le mani quelle righe battute a macchina su un foglio fino a poco prima anonimo, piegato frettolosamente e finito chissà come in mezzo alla sua quotidianità.. quella è roba da romanzi, qualcosa che ti manda di traverso l'ultimo sorso di caffè e finisce per solleticare la curiosità di chiunque. Figuriamoci quella di una donna piacente, soddisfatta della propria vita, che nella seppur piccola Pequot ha collezionato una piccola schiera di ammiratori. Ma è davvero destinata a lei quell'appassionata dichiarazione? O la misteriosa "Capra" si nasconde dietro una sua concittadina? E chi c'è dietro quel discutibile pseudonimo di "Montone", col quale si chiude la struggente missiva?
Con in testa il ronzio di quelle parole appassionate, Helen dunque si mette in caccia di un amore da romanzo d'altri tempi, sepolto in qualche modo sotto l'anonimato polveroso di una qualunque cittadina di provincia, di quelle in cui finisci per caso, quando le giravolte del destino ti riportano, naufraga, nella vecchia casa di tua madre, a riprendere in mano le redini della tua esistenza.
E scoprirà alla fine che a volte la Vita sceglie strade bizzarre, per la felicità.

UN ASSAGGIO:

"Le posta era sul pavimento sotto la buca, sparsa ed esausta dopo il lungo viaggio, dopo i tanti, diversi viaggi; un gruppo di estranei con una sola cosa in comune, e quell'unica cosa era Helen MacFarquar. Riceveva tutta la posta in negozio, non dava mai a nessuno l'indirizzo di casa. Le piaceva radunare le cose, essere accolta da quell'abbondanza. E le piaceva vedere il suo nome scritto così, lettera dopo lettera, su tutte quelle buste. Helen MacFarquar. Le sembrava bellissimo. Il suo nome le piaceva molto, e quando si era sposata non le era passato neppure per la testa di cambiarlo. La faceva pensare a suo padre, che le mancava e che tutti chiamavano Mac. Anche se poi, ogni volta che lo usava per firmare, aveva la tentazione di scrivere: Helen MacFarquar, Ebrea. Un empito di rivelazione totale e molto più, di sciovinismo. Mezza ebrea, perlomeno.
Le piaceva vedere la posta tutta quanta sparsa lì, un bottino così promettente, una cornucopia di saluti e assegni e inviti e informazioni, un cestino traboccante di frutta, il quotidiano raccolto della vita quotidiana - anche se poi la maggior parte erano sciocchezze, volantini e buoni sconto per l'autolavaggio, pubblicità di carte di credito che aveva già, fatture e ricevute, lotterie incalzanti che adescavano il suo nome storpiato."

giovedì 28 aprile 2011

EDMOND ROSTAND - Cyrano de Bergerac



DOVE: Francia
QUANDO: alla metà del '600

Fino dove può arrivare, l'amore (Quello vero, con la A maiuscola, cui solo forse una penna d'altri tempi è in grado di dare corpo e sostanza)? In un'epoca come la nostra, fatta di superficialità, culto dell'aspetto esteriore e ahimè sempre troppo poca attenzione all'importanza delle parole, vale davvero la pena di prendersi una pausa romantica avventurandosi nella lettura del Cyrano. Mi rendo conto che possa risultare per qualcuno un'opera ostica dal punto di vista stilistico; ma come spesso accade, lasciare che i pregiudizi ci frenino impedisce spesso di godere dei tesori nascosti - e quale migliore occasione per dimostrarlo, che offrire una chance al romantico spadaccino dall'imponente naso? Lasciamoci andare al ritmo dei versi, allora, e scivoliamo in questo spicchio di Borgogna, dove il clamore delle armi bianche, lo svolazzare impalpabile delle piume sui cappelli sfilati dalle teste ad accompagnare l'inchino, il biancheggiare di farsetti tutti trine e polsini traboccanti di merletti, accompagnano lo sbocciare di una passione tanto intensa quanto platonica per la bellissima Rossana. Abilissimo con la spada e con la lingua, indipendente fino a rasentare la scontrosità, condizionato da un impietoso aspetto fisico, il coraggioso e romantico Cyrano è però capace di grande generosità, fino a soffocare il proprio sentimento in nome dell'amicizia che lo lega al giovane cadetto Cristiano, bello ma non altrettanto intelligente. Quando dunque quest'ultimo chiede aiuto all'irriverente spadaccino per conquistare il cuore di Rossana, Cyrano accetta di porre al servizio del giovane la propria abilità poetica, componendo per lui lettere e poesie e ponendosi come suo "suggeritore" durante gli struggenti convegni con la bella e ignara Rossana. Difficile immaginare qualcosa di più straziante che ascoltare il proprio canto d'amore pronunciato dalle labbra di qualcun altro, e ancor peggio di questo, vederlo andare a segno proprio nel cuore di colei cui era stato dedicato. Eppure Cyrano sceglie senza indugio di mettersi in ombra e rinunciare ad alimentare la propria passione affinchè il meno brillante cadetto possa conquistare la donna amata, perfino quando il destino sembra volergli arridere, stravolgendo le carte che tanto accuratamente egli stesso aveva disposto nell'ombra, per il suo protetto.
Pura poesia. In un'epoca in cui siamo capaci di tutto - ma spesso non di grandi sentimenti - direi che la lezione di sacrificio estremo del Cyrano possa avere ancora molto da dire.

UN ASSAGGIO:

"La gente comincia a uscire, mentre Cyrano guarda intorno soddisfatto. Ma tosto di ferma, udendo il battibecco seguente. Le donne che nei palchetti erano già in piedi con le mantelline indosso si fermano per udire e finiscono per tornare a sedersi.

LA BRET (A Cyrano): E' una follia!
UN SECCATORE: ( che si è accostato a Cyrano) : L'attore Montfleury! Ma, cospetto! Sapete che dal Duca di Candale è protetto?
CYRANO: No!
IL SECCATORE: come, no?
CYRANO: No!
IL SECCATORE: come?
CYRANO (irritato): No, per la terza volta; e ne sono felice. No, non ho protettori.... (con la mano alla spada) Ma una protettrice!
IL SECCATORE: Ma, dunque, lascerete Parigi?
CYRANO: Si vedrà
IL SECCATORE: Ma il Duca ha lungo il braccio...
CYRANO: Meno lungo sarà del mio.. (mostrando la spada) quando vi metta quest'aggiunta in compenso.
IL SECCATORE: Ma voi non penserete di pretendere..
CYRANO: Penso!
IL SECCATORE: Ma..
CYRANO: Fuor dai piedi adesso!
IL SECCATORE: Ma..
CYRANO: Sbrigati! - O rispondi! Perchè mi guardi il naso?
IL SECCATORE (sbigottito): Io...
CYRANO (saltandogli addosso): Perchè ti confondi?
IL SECCATORE (retrocedendo): Vostra Grazia s'inganna..
CYRANO: Dimmi: è molle e cascante siccome la proboscide, forse, d'un elefante?
IL SECCATORE (come sopra): Io non...
CYRANO: E' adunco a guisa di un becco di civetta?
IL SECCATORE: Io...
CYRANO: C'è forse alla punta qualche pustoletta?
IL SECCATORE: Ma...
CYRANO: Qualche mosca forse vi passeggia o vi dorme! Che v'è di strano?
IL SECCATORE: Oh! ..
CYRANO: Forse ch'è un fenomeno abnorme?
IL SECCATORE: Ma di non porvi gli occhi m'ero fatto un dovere!
CYRANO: E perchè non guardarlo, se è lecito sapere?
IL SECCATORE: Io...
CYRANO: Vi disgusta adunque?
IL SECCATORE: Signore...
CYRANO: Vi fa pena il suo color?
IL SECCATORE: Signore!
CYRANO: Vi par di forma oscena?
IL SECCATORE: Ma niente affatto!
CYRANO: E allora, perchè fate quel muso?
IL SECCATORE (balbettando): Ma io lo trovo invece piccolo, impercettibile!
CYRANO: Come! Di un tal ridicolo accusarmi? Possibile? Piccolo il naso mio?
IL SECCATORE: Cielo!
CYRANO: Enorme il mio naso? Vilissimo camuso, siate ben persuaso che di quest'appendice mi glorio e mi delizio; avvenga che un gran naso sia il vero e proprio indizio di un uomo buono, affabile, cortese, liberale, di coraggio e di spirito, qual io mi sono e quale non vi sarà mai lecito di credervi, marrano! Perchè la ingloriosa faccia che la mia mano se degna di cercare sul vostro collo è priva..... (lo schiaffeggia)
IL SECCATORE: Ahi! ahimè!
CYRANO: .. di fierezza, di slancio, d'inventiva, di lirismo, di genio, di grandezza morale, di naso, insomma, come quella.. (lo rivolge per le spalle, aggiungendo il gesto alla parola) .. che il mio stivale viene a cercarvi sotto le terga!
IL SECCATORE (fuggendo): Aiuto!"



PS: solitamente nei miei post non lo faccio mai, ma stavolta, concedetemi un piccolo strappo alla regola per postare la bellissima versione della storia di Cyrano scritta da Francesco Guccini:





perfetta colonna sonora per il post.. ^_^
(io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna...)

giovedì 21 aprile 2011

ANCORA PREMI... GRAZIE!! ^_^

.. ho avuto poco tempo da dedicare al blog, nell'ultimo periodo, ma tornando al mio piccolo mondo virtuale ho avuto una piacevolissima sorpresa: ben DUE premi, offerti da Phoebes e il suo Tempo di Leggere, Silvia di Vorrei Essere un Personaggio Austeniano e Sylvia di Un tè con Jane Austen:



Eccoli qui, in tutto il loro splendore!!!! Ringrazio ancora una volta con tutto il cuore le tre amiche che hanno voluto pensare a me, è sempre una graditissima scoperta - l'ho detto e so di ripetermi - questo mondo virtuale di amanti dei libri.
Per una mia personalissima interpretazione dell'etichetta "blogghesca", ho deciso che in casi simili prevalga il premio che richiede l'elenco più lungo, anzichè sommare le due richieste; perciò, ecco qui le dieci cose che non sapete di me:

1) Ho una passione per il tè bollente, indipendentemente dalla stagione.
2) Guardo pochissima televisione; soprattutto, niente telegiornale. Non posso sopportare il pensiero che siamo talmente anestetizzati dal dolore altrui dal riuscire a mangiare guardando le macerie di un bombardamento o ascoltando il resoconto di un omicidio. Mi limito al notiziario della radio, cercando poi su internet quelle notizie che voglio approfondire.
3) Proprio in questi giorni, sto realizzando un mio piccolo sogno, grazie al concorso indetto da Butterfly Edizioni. Quando sarà finalmente concreto, naturalmente ne parlerò qui nel blog; per ora vi basti sapere che i sogni talvolta possono diventare realtà anche se non si hanno a portata di mano una Fata Madrina, quattro topini e una zucca matura.
4) Adopero lo stesso profumo da anni, Muschio Bianco dell'Erbolario. Ormai fa parte di me, tutti i miei ricordi fin dall'adolescenza vengono trasportati sull'onda di quel profumo.
5) Alla mia veneranda età di trent'anni più che suonati, mi ritrovo spesso immersa in fantasie degne di Amelie Poulain.
6) Non ho particolari manie in termini di abbigliamento, tranne forse le pashmine. In tutte le sfumature possibili e immaginabili, accuratamente impilate le une sulle altre nel mio armadio. Fatico a mollarle, quando la temperatura sale. Per certi versi, non vedo l'ora che torni l'autunno.
7) Per diverso tempo, da adolescente, ho collezionato maiali.
8) Mi terrorizzano le cavallette. Potrei restare prigioniera in casa mia, o averne l'esistenza sconvolta un po' come il protagonista de Il Piccione di Suskind.
9) Il mio cellulare non scatta foto, non si connette ad internet, non ha il lettore mp3 incorporato. Telefona.
10) Una volta, da bambina, piantai un pinolo in un parco pubblico e la mattina dopo, non ricordando esattamente il punto esatto, mi convinsi che l'enorme pino - perlomeno trentennale - che avevo davanti fosse il frutto del suo germogliamento notturno. ^_^

Ecco qui! Per quanto riguarda i dieci blog a cui girarlo, oltre a restituirlo alle tre amiche - perchè no, dopotutto, visto che sono tre blog che frequento abitualmente? - ecco altri sette blog che amo molto:

- The Wise Woman Cottage Garden
- Wagashi Stories
-Mens Sana
-Japan The Wonderland
- Cipria e Merletti
-Georgiana's Garden
-Piccolo Sogno Antico

Mi spiace non parlare più estesamente di ciascuno di essi... Ma oggi davvero il tempo è tiranno! Diciamo che sono tutti accomunati dal filo dorato della curiosità, della voglia di guardarsi attorno, di conoscere, di capire, di far respirare questi benedetti neuroni troppo spesso soffocati dalla piatta e superficiale routine. Ce n'è davvero per tutti i gusti, dalla cultura nipponica, all'arte e letteratura, alla vita in epoca Vittoriana, alle piccole idee stimolanti per genitori e bimbi, ai mondi incantati della natura e delle fate..... ^_^





lunedì 11 aprile 2011

BARONESSA ORCZY - La Primula Rossa



DOVE: tra Francia e Inghilterra
QUANDO: 1792.

Francia, anno 1792; la rivoluzione si alimenta delle proprie fiamme e nel lento sobbollire del rancore popolare esplode il buio e sanguinoso periodo del Terrore. Basta poco più che un bisbiglio, un sospetto, una bugia per far scattare una morsa inesorabile. Donne, bambini, vecchi, siano essi nobili o sospetti fiancheggiatori di questi ultimi, vengono dati in pasto alla famelica bocca metallica della ghigliottina che instancabilmente, ora dopo ora, azzanna le proprie vittime. E mentre la lama scintilla rossa sotto il sole, mentre sotto al patibolo le brave cittadine sferruzzano tranquille in attesa di veder cadere la prossima testa, mentre la folla rumoreggia con furore animalesco, spinta dalla sete di vendetta, al passare mesto dei carri che conducono i condannati, un piccolo manipolo di inglesi - un po' per sport, un po' per sfida, un po' forse per solidarietà verso la sfortunata classe nobile d'Oltremanica - si dedica anima e corpo ad una missione tanto adrenalinica quanto rischiosa: sottrarre alle fauci della ghigliottina quante più teste possibili.
A capo di questo eroico gruppo, uno sconosciuto che firma le proprie imprese con un piccolo logo a forma di fiore; la Primula Rossa. Logo che, inutile dirlo, finirà per indispettire non poco il solerte ed astuto Chauvelin, agente del governo rivoluzionario francese che, sulle tracce dell'enigmatico eroe è approdato fin sulle bianche scogliere di Dover. Il suo scopo? Naturalmente, smascherare l'identità del suo acerrimo nemico, attirarlo in una trappola sul suolo francese e porre fine alle sue oltraggiose imprese. Il diabolico Chauvelin crede d'aver trovato nella bella Marguerite St. Just, splendida e brillante ex attrice della Comedie Francaise divenuta poi Lady Blakeney dopo aver sposato un indolente nobile inglese, una perfetta spia, facile da tener in pugno sotto il ricatto di spedire alla ghigliottina il suo amato fratello Armand, reo agli occhi del governo rivoluzionario d'essere in combutta con lo sconosciuto eroe britannico. Con la pazienza di un ragno, il francese tesserà attorno alla Primula Rossa una sottile e perfetta trappola; riuscirà davvero la sua fredda determinazione a mettere nel sacco l'ingegnoso ed ardito britannico, abilissimo nell'arte dei travestimenti?


UN ASSAGGIO:

"Quando Chauvelin vi entrò, la sala da pranzo era deserta. Aveva quell'aspetto desolato, squallido, che rammenta tanto un abito da ballo il mattino dopo.
Bicchieri semivuoti erano sparpagliati sul tavolo, tovaglioli spiegazzati giacevano qua e là, le sedie girate l'una verso l'altra in gruppi di due o tre sembravano occupate da fantasmi in intima conversazione fra di loro. Negli angoli più lontani della stanza c'erano coppie di sedie, molto vicine l'una all'altra, che parlavano di recenti corteggiamenti sussurrati gustando pasticci di selvaggina e sorseggiando champagne ghiacciato; c'erano gruppi di tre o quattro sedie che rievocavano animate e piacevoli discussioni sugli ultimi scandali; c'erano sedie ancora ben allineate che avevano l'aria rigida, critica, acida di antiquate matrone, c'erano alcune sedie isolate vicino al tavolo che parlavano di ghiottoni intenti ad assaporare i manicaretti più raffinati ed altre rovesciate sul pavimento che la dicevano lunga sulle ben fornite cantine di Lord Grenville.
Insomma era una replica spettrale dell'elegante riunione al piano di sopra; un fantasma che infesta ogni casa dove vengono dati balli fastosi e ricche cene; uno scenario disegnato col gesso bianco su un cartone grigio, smorto e incolore, ora che la seta lucente degli abiti e le giacche sontuosamente ricamate non erano più lì ad animare il primo piano e ora che le candele tremolavano sonnolente nei loro supporti."

mercoledì 6 aprile 2011

ANTONIA S. BYATT - Possessione



DOVE: attraverso l'Inghilterra, dalla London Library fino allo Yorkshire e la Bretagna

QUANDO: in età contemporanea, ma con un piede costantemente nell'Età Vittoriana.

Come resistere ad un libro che ha per sottotitolo "Una storia Romantica"? Nel mio caso, semplicemente, non si resiste. Ed è stato così che mi sono ritrovata risucchiata letteralmente da una storia che avvinghia, avvolge, fa palpitare, sebbene l'inizio sia tutt'altro che poetico; ci troviamo infatti nella silenziosa ed austera London Library, dove Roland Mitchell, studioso di Letteratura Inglese, è intento ad un minuziosissimo studio sulle fonti del Giardino di Proserpina, opera del celebre poeta vittoriano Randolph Henry Ash. Ed è così che, tra le pagine ingiallite e le rilegature polverose, per puro caso trova due lettere autografe del poeta stesso, indirizzate ad una enigmatica "Signora". Immaginiamo l'emozione dello studioso che entri per puro caso in possesso di uno scritto autografo dell'oggetto dei propri studi, la sensazione di avere tra le dita la stessa fragile carta che le dita del poeta hanno sfiorato, immaginarlo mentre la vergava, passo a passo, con la sua grafia fluida, le dita macchiate d'inchiostro, scoprire tutt'a un tratto di poter toccare con mano qualcosa che presumibilmente nessuno studioso, prima di allora, aveva mai toccato. E immaginiamo quindi la doppia emozione quando, analizzando tutti gli indizi, s'insinua nella mente del giovane Mitchell il sospetto che la misteriosa destinataria di quelle missive sia addirittura Christabel Lamotte, anch'essa illustre rappresentante della poesia inglese di Età Vittoriana.
Ecco dunque che il timido e meticoloso studioso, affiancato dalla collega Maud Bailey decide di indagare, partendo assieme a lei in un viaggio sulle tracce dei due poeti e di quel sottile filo rosso che li lega, continuamente sospesi tra oggi e ieri. Ma fino a che punto la fredda lucidità dei due letterati nello sviscerare, lettera dopo lettera, quell'antica relazione, riuscirà a non farsi contagiare da una passione rimasta sopita per oltre cento anni?
Tra solidi alberghi ritti ai margini della brughiera, pensioncine in piccole località balneari, antiche magioni nobiliari, sulle orme dei loro predecessori i due scopriranno ben presto tutta la vivida contagiosità di quel romanticismo d'altri tempi, quando le parole venivano pesate una ad una, e deposte sul foglio con cura, a mano, una dopo l'altra, con lo stesso batticuore che avrebbe accompagnato, qualche tempo dopo, la loro lettura.


UN ASSAGGIO:

"In piedi sul marciapiede guardavano la scritta incisa sopra al portico: BETHANY. Era una luminosa giornata d'aprile. Intimiditi dalla presenza dell'altro, si tenevano a una certa distanza. La casa, tirata a lucido, era di tre piani, con finestre scorrevoli. Da anelli di legno scolpito sorretti da una stecca d'ottone pendevano tendine con un grazioso disegno a ramoscelli. Nel vano della finestra della facciata, un capelvenere in un grande vaso Minton. Sulla porta, di un intenso blu di Delft, un sinuoso battente di ottone a forma di delfino. Le rose erano in boccio e ai loro piedi un mare di nontiscordardimè. Tra un piano e l'altro un fregio di mattoni su cui erano impressi dei girasoli. Ogni mattone respirava aria fresca; erano stati raschiati a fondo e dilavati con il cannello ad aria compressa e con la pompa a getto, così ora la casa si presentava nella sua veste originaria.
- E' un buon lavoro di restauro - disse Maud - procura una strana sensazione. Un simulacro
- come una copia della sfinge in fibra di vetro.
- Esattamente. Laggiù c'è un caminetto molto vittoriano. Non saprei dire se si tratta di un originale o se è stato recuperato in qualche demolizione.
Alzarono gli occhi verso la mite o muta facciata di Bethany.
-Doveva essere più sporca. Doveva sembrare più vecchia. Quando era più nuova.
- una citazione postmoderna...
Adesso c'era un portico sul quale rampicavano i primi viticci di una clematide nuovissima, un portico con arcate di legno appena imbiancate, un inizio di pergolato.
Era uscita da questa parte, a passo svelto, in un ondeggiare di nere gonne decise, le labbra strette per la determinazione, le mani premute sulla borsetta di rete, gli occhi spalancati per la paura, per la speranza, scompigliata, come? E lui, aveva percorso la strada che veniva dalla chiesa di St. Matthias con indosso il cilindro e la giacca a doppio petto? E l'altra, aveva scrutato da una finestra del piano superiore, gli occhi annebbiati dietro il cerchio delle lenti?"

domenica 3 aprile 2011

MURAKAMI HARUKI - Tokio Blues Norwegian Wood


DOVE: Tokyo, Giappone
QUANDO: fine degli anni'60

Il mio primo incontro con Haruki Murakami è questo: un Boeing 747 che atterra nella piovosa Amburgo, con in sottofondo una "annacquata versione orchestrale" di Norwegian Wood dei Beatles diffusa a basso volume dagli altoparlanti. E' così che si apre questo libro, con un lunghissimo flashback che, innescato dalle note orientaleggianti di questa canzone, risucchia il protagonista Watanabe Toru in un doloroso vortice di ricordi rimasti impigliati da qualche parte, alla fine degli anni'60. Immaginiamo, dunque, il colorato tramonto dei Sixties, con le proteste universitarie, il fiorire dei gruppi musicali, la psichedelia; immaginiamo la chiassosa Tokyo, un anomalo collegio il cui cerimoniale includeva alzabandiera ed abbassabandiera - rispettivamente, mattina e sera - il Giappone che ha ormai rialzato la testa dopo le ferite di Hiroshima, il mondo intero che pare ribollire di un fermento di impeto giovanile che valica le frontiere.
E in tutto questo fermento, in tutto questo colore, in mezzo al proliferare di idee e proponimenti e voglia di fare e di cambiare, chiusi nel loro bozzolo di dolore ci sono loro, Watanabe Toru e la bella Naoko, la cui ingenuità giovanile è stata infranta da una terribile sciagura: il suicidio di Kizuki. Migliore amico di lui, fidanzato di lei, quest'ultimo si è tolto la vita solo qualche anno prima, a diciassette anni, stravolgendo le vite di chi gli era vicino, sospendendole in una sorta di limbo. Senza lasciare un biglietto, Kizuki se n'è andato portando con sè il segreto della sua angoscia, lasciando i suoi amici in balia dei silenzi, delle lacrime, dei sensi di colpa; e, nel delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta, quel vuoto lasciato da Kizuki finisce per risucchiare in parte le vite di Watanabe e Naoko, rendendoli in un certo senso estranei a tutto quello che accade intorno a loro, finendo per avvilupparli in un fragile, sottile sentimento reciproco.
E' la delicata storia di due giovani che, in un mondo inquieto, sono preda di un'inquietudine ben più grande e contro di essa combattono, ciascuno a modo loro, sforzandosi di lasciarla alle spalle assieme alla loro adolescenza; una storia che parla del dolore, dello sbandamento che questo talvolta provoca e del diverso modo di reagire - quello di chi lotta e quello di chi, semplicemente, si lascia andare agli eventi.


UN ASSAGGIO:

"Di domenica mattina sul tram c'era solo un gruppo di tre vecchiette. Quando salii guardarono la mia faccia, poi guardarono il mazzo di narcisi. Una di loro mi sorrise. Io le sorrisi a mia volta, poi andai a sedermi nel posto più in fondo e mi misi a guardare le vecchie case che cominciarono a sfilare dietro al finestrino, quasi sfiorate dal tram. Su una veranda, accanto a una decina di piante di pomodoro in fila nei vasi, un grosso gatto nero dormiva. In un giardino un bambino faceva bolle di sapone. Da qualche parte suonava una canzone di Ishida Ayumi. Arrivava perfino l'odore del curry. Il tram scivolava rapido ai bordi di quelle stradine dall'atmosfera domestica come un ago lungo l'orlo di un tessuto. In una fermata intermedia salirono diversi passeggeri, ma le tre vecchiette continuarono a chiacchierare infervorate, le teste accostate, senza neanche accorgersene. Vicino alla stazione di Otsuka scesi dal tram e, seguendo la mappa, imboccai una grande via un po' decaduta. Dei negozi che si susseguivano ai lati della strada nessuno aveva un'aria molto prospera. Erano piuttosto bui e tutti in edifici vecchiotti. C'erano anche molte insegne dalle scritte quasi cancellate. A giudicare dall'età e dallo stile delle costruzioni, questa doveva essere una zona scampata ai bombardamenti durante la guerra. E probabilmente per questo molti edifici erano rimasti allo stato originale. Naturalmente alcuni erano stati anche rimessi a posto con restauri o aggiunte, ma erano ancora più brutti di quelli rimasti intatti."

venerdì 1 aprile 2011

ARTHUR GOLDEN - Memorie di una Geisha


DOVE: Giappone
QUANDO: a cavallo della Seconda Guerra Mondiale

Ecco un libro che da' l'occasione per immergersi in un mondo decisamente inusuale per noi occidentali: quello delle geishe giapponesi. Silenziose, misteriose, troppo semplicisticamente assimilate, nell'immaginario più superficiale, a delle prostitute d'elite - o, nel migliore dei casi, ritenute un impolverato monumento ad una servilità femminile d'altri tempi - esse sono in realtà molto di più. Cresciute ed educate affinchè intrattengano - con la danza, la musica e la conversazione brillante - ricchi uomini d'affari, queste figure avviluppate in laboriosi giri di kimono, con il loro trucco e le complicate acconciature che le costringono a dormire appoggiando il collo ad un supporto di legno affinchè la testa resti sollevata e queste non si sciupino, sono donne che si ritrovano a condurre le redini di un destino che qualcun altro ha scelto per loro. Ed è attraverso la vita di una di loro - quella piccola Chiyo figlia di pescatori, poi divenuta la raffinata e ricercatissima Sayuri - che scopriamo, pagina dopo pagina, ciò che celano dietro quei loro volti finemente disegnati, nei cuori stretti tra le spire di seta dell' obi. Ci ritroviamo in un Giappone ormai lontano, ancora ingenuamente ignaro della tragedia di Hiroshima che di lì a qualche anno l'avrebbe fiaccato, nel quale lungo le strade di Kyoto si sentivano riecheggiare gli zori laccati di queste creature fasciate di seta, mentre si spostano da una sala da tè all'altra, simili a enormi farfalle. Le serate chiassose, il sakè che scorre a fiumi, i regali di lusso dei protettori, la musica degli shamisen, le finissime sete ricamate con complicate immagini che richiamano alberi, paesaggi, fiumi. Ma anche, nell'intimo dell'okiya, la solitudine, la competizione che rende impossibile il fiorire di una vera amicizia, le dure ore di studio, il rigore della disciplina, le estenuanti sedute di trucco e parrucchiere, la superstizione, lo scoraggiamento. Tutto questo e molto di più, attraverso la viva voce di una di esse che, divenuta anziana, ripercorre a ritroso il filo della sua vita, ricordando l'infanzia serena, la malattia della mamma, la dolorosa separazione dalla sorella e il brusco impatto con la rigida Gion, il quartiere delle geishe; il delicato racconto di una donna che apre le porte di un mondo scomparso e proprio per questo terribilmente affascinante.

UN ASSAGGIO:

"Ai tempi si usava truccare solo il labbro inferiore, per farlo sembrare più turgido. Il fondotinta bianco produce una serie di strane illusioni; se una geisha si dipingesse l'intera superficie delle labbra, la sua bocca finirebbe per assomigliare a due grosse fette di tonno, perciò preferisce darle una forma imbronciata, più simile a un bocciolo di violetta. A meno che non abbia già di natura labbra così fatte (ed è un caso piuttosto raro), quasi sempre si dipinge in modo da simulare una bocca più tonda di quanto sia in realtà. Ma, come ho già detto, a quei tempi si usava mettere il rossetto soltanto sul labbro inferiore, e così fece Hatsumomo.
Poi prese il legnetto si paulonia che mi aveva mostrato poco prima e lo accese con un fiammifero. Lo lasciò bruciare per pochi secondi, poi lo spense soffiandovi sopra, lo raffreddò stringendolo tra i polpastrelli, quindi tornò allo specchio per disegnarsi le sopracciglia con l'estremità carbonizzata, che lasciò un segno di un gradevole grigio chiaro. Infine Hatsumomo si avvicinò a un armadio e scelse alcuni ornamenti per capelli, fra cui un fermaglio di tartaruga. Dopo esserseli infilati nell'acconciatura, si applicò alcune gocce di profumo sulla pelle nuda della nuca, riponendo quindi nell'obi il flaconcino, che era di legno e piatto, casomai ne avesse avuto ancora bisogno. Sempre nell'obi mise un ventaglio pieghevole e nella manica destra un fazzoletto. Poi si girò a guardarmi. Sul volto c'era lo stesso sorriso appena accennato di prima e, di fronte a tanta bellezza, anche Zietta si lasciò sfuggire un sospiro."