lunedì 7 maggio 2012

EMILY BRONTE - Cime Tempestose

DOVE: nella selvaggia quiete della brughiera dello Yorkshire, Inghilterra.
QUANDO: tra la fine del Diciottesimo e l'inizio del Diciannovesimo secolo.

Doverosamente, una premessa. Ricevo - con un po' di ritardo, dimenticandomi spesso di controllare la posta del blog, ahimè.. - un graziosissimo invito da Irene&Alessia del delizioso salottino di Cipria e Merletti, per la loro iniziativa dedicata alle sorelle Bronte. Personalmente, avevo già dedicato un post alla mia amatissima JANE EYRE ed ho inoltre da parte - sulla "rampa di lancio" dei prossimi libri di lettura - Agnes Grey, della più giovane delle tre, Anne. Non potevo quindi che scegliere la riservata Emily e quel suo capolavoro di passione, romanticismo, tormento e lande brulle battute dal vento che è Wuthering Heights. Aggiungo solo che stiamo parlando di uno dei primissimi libri entrati a far parte della mia biblioteca ( e del mio cuore), quand'ero poco più che adolescente, e che ho letto e riletto in più occasioni, riscoprendolo di volta in volta con occhi nuovi.
E come non innamorarsi di quei paesaggi solitari dello Yorkshire più selvaggio, che avvolgono la solitudine furiosa di Wuthering Heights, antica tenuta alla quale un cortese signor Lockwood si reca, in apertura, per conoscere e salutare il suo padrone di casa, l'ombroso signor Heathcliff? La quiete fredda e nebbiosa della brughiera pare riflettere l'animo di questo suo scontroso abitante, che pare ben poco propenso a ricambiare la cortese premura del suo nuovo inquilino.
E ben presto, attraverso le parole della sua governante Nelly, quest'ultimo potrà conoscere l'intricata, passionale ed oscura storia che lega Heathcliff alla sua massiccia dimora ed a quei solitari e burrascosi paesaggi. Egli infatti, un tempo silenzioso orfanello portato a Wuthering Heights dall'allora proprietario Mr. Earnshaw e cresciuto assieme ai suoi due figli Hindley e Catherine, ben presto si ritrova in balia di una oscura, irrefrenabile passione per la sorellastra che da quel momento in poi sarà la molla che darà la spinta a tutte le azioni della sua vita, a cominciare dalla pazienza certosina con cui, passo dopo passo, s'impegna a contrastare in ogni modo l'amore di lei per il giovane Edgar Linton. E tra il vento sibilante della brughiera, le vicende s'intrecciano ruotando attorno a questo amore tanto forte quanto distorto - un amore che è smania di possesso, ossessione, furia autodistruttiva.
Per antonomasia, la passione con la P maiuscola. Quella che, come le tempeste richiamate alla mente dal nome della tenuta, è tanto violenta da poter distruggere.

UN ASSAGGIO:

"Il pomeriggio di ieri s'era annunciato nebbioso e freddo: ed io avevo quasi una mezza idea di passarlo vicino al mio caminetto, piuttosto che mettermi in istrada attraverso l'erica e la fanghiglia verso la Tempestosa. Tuttavia, risalendo nella mia camera dopo il pranzo (NB: io pranzo tra mezzogiorno e la una. La governante, una rispettabile matrona che ho preso in affitto insieme con la casa, come una sua dipendenza, non ha saputo o voluto capire il mio desiderio d'esser servito alle cinque.) risalendo dunque i gradini con tale pigro intendimento, vidi proprio là nella mia stanza una giovane serva inginocchiata al suolo davanti al camino, circondata di spazzole e di secchi da carbone, che suscitava un fumo infernale nel cercar di estinguere le fiamme con monti di cenere. Tale spettacolo mi respinse immediatamente; presi il mio cappello e, dopo una camminata di quattro miglia, arrivai al cancello del giardino di Heathcliff, appena in tempo per ripararmi dai primi morbidi fiocchi di un gran rovescio di neve imminente.
Su quel nudo cucuzzolo di collina la terra era dura, nera, gelata; e soffiava un'aria pungente che mi faceva tremare per tutte le membra. Non riuscendo a levar la catena, scavalcai il cancello, e correndo lungo il viale lastricato che sparsi cespugli d'uvaspina costeggiano, mi misi a bussare perchè mi aprissero; picchiai a lungo, invano; le nocche mi facevano male e i cani urlavano."






domenica 6 maggio 2012

VANORA BENNETT - Ritratto di una sconosciuta

DOVE: Londra, Inghilterra
QUANDO: inizi del Sedicesimo secolo

Ecco un viaggio iniziato per caso, frugando in una bancarella del mercato di quelle in cui si accatastano alla rinfusa libri di ogni genere, e assolutamente indimenticabile. Perchè l'ambientazione di per sè - la Londra umida e fumosa del volitivo Enrico Ottavo, stanca delle lotte intestine tra le due dinastie dei Tudor e dei Plantageneti, in precario equilibrio prima dello scisma religioso che spaccherà violentemente in due la Chiesa (di qua i Cattolici, di là i protestanti) - è già parecchio allettante. Ed è proprio qui, nella lussuosa dimore londinese di Tommaso Moro - umanista e brillante politico - che cresce la giovane Meg Giggs, intraprendente, colta, ben provvista di quello spirito critico che l'educazione del padre adottivo ha inculcato in lei e nelle sue sorellastre. Affascinante, riflessiva, provvista di senso pratico ed esperta di erbe, pozioni e decotti - in certi aspetti, almeno a mio dire, molto simile all'indipendente Jane Eyre di Charlotte Bronte - Meg vive la sua romantica storia d'amore con John Clement, un tempo suo precettore nonchè pupillo dello stesso Moro. Fino a quando, sotto lo stesso tetto, il destino non pone il pittore Hans Holbein, massiccio, focoso, venuto a Londra dalla Germania per realizzare su commissione un ritratto della famiglia Moro. E mentre Meg, con sgomento, apre squarci di luce sul passato oscuro del suo ex insegnante (passato che quest'ultimo continua a custodire gelosamente come un segreto), il cuore passionale del rude tedesco comincia a battere in segreto per lei ... Tutto intorno, la nazione che sembra sgretolarsi sotto la spinta della passione del re per la bella Anna Bolena, i conservatori più rigidi - tra cui lo stesso Moro - che con la forza della disperazione tentano con ogni mezzo - lecito o illecito - di tenere a freno la ventata di nuovo che sta investendo la Chiesa di Roma, le sorti che si rovesciano come dadi in un bussolotto, le vicende private che come spesso accade s'intersecano con la storia, quella che poi sui libri lascia traccia di sè sotto forma di scarni elenchi di date.
La Bennet riesce a trasportarti con altrettanta maestria nel fiorente giardino di Moro, dove s'intrecciano la prima volta le mani titubanti di Meg e quelle del suo pretendente, e attraverso le viuzze umide e cupe dei quartieri più poveri, laddove la povera gente in segreto stampa - ed ascolta - per la prima volta la Bibbia tradotta dal latino alla lingua inglese, scoprendo finalmente il significato di ciò che, per anni, è stata addestrata ad ascoltare senza chiedere nulla di più. Lo ammetto: la scelta finale di Meg mi ha lasciato un pochino l'amaro in bocca.. ma questo, immagino, è il destino dei protagonisti di un romanzo: vivono la loro vita, fanno le loro scelte e chi legge - un po' come il giovane Sebastian della Storia Infinita, avvolto nel plaid nella soffitta polverosa della scuola - si immedesima a tal punto che, quando la decisione del protagonista non corrisponde con la propria ne resta irragionevolmente deluso... Ma la storia in sè è incantevole, suggestiva nell'ambientazione e terribilmente romantica, che si sia d'accordo o meno con la decisione di Meg...

UN ASSAGGIO:

"Il salone era pieno di nuovi arrivati. Ma una testa svettava sopra le altre, con una bruna criniera leonina, la mascella squadrata, un lungo naso e quegli occhi penetranti capaci di carpire i segreti delle anime. Era la testa di un uomo la cui aura gloriosa attirava, ovunque andasse, ogni altro paio d'occhi. Quando papà rideva, come faceva spesso, trasportava immancabilmente qualunque pubblico fosse riuscito ad attirare intorno a sè in un inatteso stato di purissimo divertimento. Non stava proprio ridendo, quando scivolai in casa con John Clement. Lui e donna Alice erano seduti su due sedie dallo schienale alto, circondati da uno stuolo di indulgenti ammiratori con gli occhi che brillavano, e stavano lottando per ridurre all'obbedienza i loro liuti capricciosi. Papà è sempre stato stonato, ma lo diverte l'idea di duettare con la moglie, e in quel momento cercava sorridendo di mostrarsi sciolto nel pizzicare le corde. Conosceva i propri limiti. Per lui quel duetto, come molte altre cose, era solo il preludio a una battuta sulla fragilità umana."