martedì 15 novembre 2016

DOUGLAS ADAMS - Guida galattica per gli autostoppisti



DOVE: in giro per lo spazio
QUANDO: più o meno negli anni '80 del Pianeta Terra

Ecco un viaggetto che pregustavo da tempo, pur non essendo, lo ammetto, quel che si dice una estimatrice del genere fantascientifico (nè in formato cartaceò nè in quello cinematografico). Ma della Guida Galattica ho sempre sentito così tanto parlare, che non potevo non avventurarmi tra le sue pagine, prima o poi. E così, con l'acquolina in bocca, assolutamente digiuna di viaggi interstellari, mi sono lasciata andare.
Certo, per apprezzarlo bisogna essere, se non proprio degli appassionati del genere, perlomeno dei lettori privi di pregiudizi e pronti ad addentrarsi di tanto in tanto in qualche intricato ragionamento di statistica, probabilità e pensiero computazionale, che rallenta un tantino il ritmo altrimenti serrato della storia. Ma se siete pronti a saltare nello spazio interstellare, il risultato sarà un viaggio assolutamente appassionante e non convenzionale.
La trama è complicata da dipanare, se non si vogliono rovinare i piccoli e saporiti colpi di scena in cui si incappa, tra una pagina e l'altra; diciamo solo che siamo in un anonimo giovedì mattina nell'Inghilterra Sudoccidentale, e l'anonimo trentenne ed ex londinese Arthur Dent, impiegato in una radio locale, conduce la sua vita anonima in una altrettanto anonima casa destinata ad essere abbattuta per far posto ad una scintillante tangenziale.
Tutto inizia da qui, da una pigra e soleggiata mattina, in una casa di mattoni immersa in un giardino reso fangoso dal temporale notturno, con un bulldozer che borbotta scalpitando mentre Arthur, all'interno, l'umore grigio e il passo pesante, si lava per quella che probabilmente sarà la sua ultima mattina in quella casa.
Ecco, una di quelle giornate che sembrano pessime, e nelle quali - ti verrebbe da dire - tocchi il fondo, tanto che "peggio di così non può andare"...
Peccato che, per Arthur Dent, solitario, grigio ed apatico cittadino del Pianeta Terra, le cose stanno per andare peggio, eccome... Se perdere la propria casa per un intestardimento della burocrazia vi sembra già un evento disperato, cosa pensereste se vi dicessi che il piccolo e insignficante (se lo guardiamo dall'ottica dell'Universo) Dent sta per perdere il suo stesso pianeta?
E qui mi fermo, senza scendere più di così nei dettagli; perchè la guida galattica va gustata, pagina dopo pagina. Uno stile scorrevole, una storia di viaggi intergalattici, navi interstellari, creature poliformi, con un retrogusto un tantino retrò, di quella fantascienza "di una volta", di quando ancora ascoltavamo la musica con il mangianastri ignorando che un giorno avremmo avuto Spotify e YouTube.
Una storia ricca di umorismo ed autoironia, di robot umanizzati - anche troppo - e di esseri bicefali, di ricchi rampolli annoiati che intraprendono in  autostop (anche questo, un termine dal sapore estremamente vintage) lunghi viaggi "low-comfort" attraverso le galassie, di misteriosi e leggendari fabbricanti di pianeti, di un asettico e distante Governo Galattico Imperiale, di irritabili e disgustose creature aliene, di immense navi spaziali dai lunghi corridoi metallici.
Ma non aspettatevi un libriccino tutto esplosioni nello spazio e tentacoli melmosi; questo è anche e soprattutto un libro che fa pensare. Uno di quei libri che - un po' come Flatlandia, che recensii millenni fa - mentre lo leggi ti dà la sensazione di dare "respiro" ai neuroni resi asfittici dall'era degli smartphone. Perchè qui, al di là dei salti interstellari, si parla di convivenza e conflitti tra i diversi, di grandi domande e grandi risposte, degli intrecci imperscrutabili del destino e del senso recondito della vita sul nostro pianeta.
Un libro che ti cattura e si fa leggere in poche ore, ma che ti lascia dentro un piccolo germoglio di riflessione su chi siamo noi, all'interno dell'immensità dell'universo.

UN ASSAGGIO:

"Il prostetnico vogon Jeltz non era piacevole a vedersi. Nemmeno per gli altri vogon. Il suo nasone a volta saliva alto sopra la piccola fronte da porcello. La sua pelle verde scuro, gommosa, era abbastanza spessa da permettegli di giocare bene al gioco della politica del Servizio Civile vogon, ed era abbastanza impermeabile da permettergli di sopravvivere tranquillamente, senza effetti collaterali, a una profondità sottomarina di trecento metri.
Non che lui andasse mai a nuotare, beninteso. Era sempre troppo occupato per farlo. Il suo aspetto era quello perchè miliardi di anni prima, quando i vogon erano usciti strisciando dai pigri mari primordiali di Vogsfera ed erano approdati ansimanti alle rive vergini del pianeta, quando i primi raggi del giovane brillante Vogsole loi aveva investiti col suo splendore, era successo che le forze dell'evoluzione avevano rinunciato ad occuparsi di loro: si erano come tirate in disparte, disgustate, e li avevano esclusi dal loro elenco, considerandoli un orrido ed increscioso errore. Così, i vogon non si erano più evoluti. Anzi, non sarebbero mai dovuti sopravvivere."

mercoledì 26 ottobre 2016

BANANA YOSHIMOTO - Andromeda Heights

DOVE: Giappone, tra città e boschi di montagna
QUANDO: oggi

Shizukuishi porta il nome di una particolare varietà di cacus e vive sola con la nonna in un'isolata casetta sperduta tra i boschi, in montagna, divenuta negli anni metà di un silenzioso pellegrinaggio da parte di chiunque avesse bisogno di conforto. Perchè? Ma perchè la nonna, esperta conoscitrice delle montagne, dei boschi e delle erbe, è in grado di miscelarle sapientemente a produrre dei tè dalle virtù terapeutiche, capaci di calmare e medicare il cuore di chi li sorseggia. Ecco, è bastato questo, per farmi innamorare - per l'ennesima volta, direi - della penna di Banana Yoshimoto.
Va detto che stavolta toccava delle corde a me particolarmente care - come farmacista appassionata di fitoterapia e come amante della montagna, con alle spalle anni di Dolomiti coi miei, da ragazzina, ad immergermi negli odori dei boschi. In ogni caso, da buona viaggiatrice virtuale quale sono, mi sono subito lasciata rapire dal suo solito tocco poetico ed evocante, piombando stavolta nella vita di una giovane ragazza malinconica e solitaria, trapiantata - mai come in questo caso la metafora attinta dal mondo vegetale calza a pennello - in una grande città dopo che la nonna si è trasferita a Malta, per convivere con l'uomo col quale da qualche anno intratteneva una composta e tenera corrispondenza via internet (ecco, anche questa nonna vedova che si rifà una vita con un cliente divenuto poi confidente telematico è una di quelle pennellate con cui la Yoshimoto arricchisce di poesia anche piccoli dettagli, e che io adoro).
Immaginate, quindi, il contrasto: dentro di lei, il silenzio dei boschi di montagna, l'aria tersa, il frusciare dei rami scossi dal vento, lo scricchiolare nascosto di un ramo secco sotto le zampe di un'anonimo animale, la terra umida che penetra con il suo aroma fino nelle narici, la vegetazione bagnata di rugiada, la piccola e silenziosa capanna in cui le mani della nonna miscelavano con amore i suoi celebri tè.
Fuori, il cemento, le luci, il continuo borbottare del traffico, centinaia e centinaia di teste e gambe e cappotti e borse che si affannano frettolose e distratte sui marciapiedi, i palazzi grigi che schermano la luce del sole, l'odore dei gas di scarico, le poche e anemiche piantine in cerca di ossigeno sui terrazzi.
In mezzo, sballottata tra questi sentimenti, la giovane Shizukuishi, senza amici, senza famiglia, con l'unico conforto delle erbe essiccate che ha portato con sè, dei preziosi insegnamenti della nonna sul potere terapeutico di un tè bollente e dei suoi amati, amatissimi cactus, coi quali Shizukuishi parla ed ai quali dedica cure amorevoli, certa che qualunque creatura vivente - sia essa una piantina dalle spine aguzze o un essere umano - sia meritevole d'amore.
Come può questa piccola e fragile diciottenne trovare il suo equilibrio nella giungla asfaltata? Senza svelare troppo della trama - il libro va gustato, lentamente, proprio come una bella tazza di tè - basta dire che interverranno un tramonto in un grande giardino botanico, il giovane custode di quest'ultimo e, soprattutto, Kaede, affascinante sensitivo ipovedente, presso il quale Shizukuishi inizia a lavorare come assistente.
Un libro delicato come un acquerello sulla vita, sui cambiamenti, sulla possibilità straordinaria che abbiamo di intervenire - positivamente - nelle vite degli altri, e sul destino.


UN ASSAGGIO:

"Ci svegliavamo ogni mattina alle cinque per andare a cogliere le erbe medicinali. La prima parte della giornata era dedicata interamente a farle essiccare, tagliarle e ricavarne gli estratti utilizzando una speciale acqua sorgiva o il calore diretto del sole, mentre nel pomeriggio ci occupavamo dei clienti. Nel nostro sgangherato negozio una confezione di tè costava sempre duemila yen, indipendentemente dal numero delle persone che l'acquistavano e dall'impegno che la preparazione aveva richiesto, quindi vivevamo in condizioni piuttosto modeste.
Tutti quelli che passavano, però, fosse anche solo per far visita alla nonna, portavano dei doni, il che ci garantiva almeno da mangiare. Un cacciatore della zona ci regalava carne di cinghiale e di coniglio, e inoltre il fiume era ricco di pesce. In primavera cresceva ogni genere di pianta e non avevamo problemi, le estati erano fresche, d'autunno eravamo indaffarate a raccogliere frutti, gli inverni erano freddi, ma il nostro vicino cacciatore veniva sempre a tagliarci la legna per il camino. Non ho mai avuto la sensazione che ci mancasse qualcosa, anzi, la nostra era una vita molto felice.
Le pareti di casa erano tappezzate di cartoline e lettere di ringraziamento giunte da tutto il Giappone. Quando ci sentivamo un po' abbattute ci bastava guardarle per ricordarci del sorriso di quelle persone e capire che dovevamo continuare a fare del nostro meglio."

martedì 18 ottobre 2016

ALESSANDRO BARICCO - La Sposa Giovane


DOVE: Nord Italia
QUANDO: Non dichiarato, comunque in qualche tempo agli inizi del '900.

Baricco è un autore che non tutti, ahimè, amano. Personalmente adoro le sue atmosfere, i suoi personaggi onirici, il suo stile. Ecco: se non amate Baricco; se, per dire, siete di quelli che non hanno ben digerito Castelli di Rabbia e Oceano Mare, non avvicinatevi alla Sposa Giovane.
Qui, pur non essendo una delle sue opere che io ami maggiormente, c'è tutto lo spirito baricchiano, con le sue ambientazioni sognanti, le atmosfere sospese tra reale ed immaginario, i suoi personaggi malinconicamente poetici, il suo stile a tratti secco e a tratti vischioso. Manna dal cielo, per chi, come me, adora lasciarsi trasportare dalla sua penna in luoghi insoliti. Siamo in un luogo ed un tempo imprecisati - comunque, da qualche parte lassù nel Nord Italia, in una pianura arsa dall'afa in estate e immersa in una nebbia lattiginosa in inverno, agli inizi del '900. Qui, in una solenne ed antica dimora, si muovono silenziosamente come piccoli, composti burattini, i membri di un'agiata famiglia di imprenditori nel settore tessile, anonimi ed austeri, devoti a sontuose colazioni e pigre giornate scandite da rigidi rituali; il tutto sotto la guida sapiente ed esperta di Modesto, storico maggiordomo nonché depositario assoluto di tutte le bizzarre e ritualistiche abitudini dei suoi padroni. Il Padre, mansueto e disciplinato, il cui unico scopo - la vocazione, sarebbe più opportuno dire - sembrerebbe essere quella di riportare ordine nel mondo. La Madre, sfavillante e sensuale, dal torbido e misterioso passato, la cui bellezza pare fosse in grado di gettare nella pazzia i malcapitati che venivano a contatto con lei. La Figlia, umile e bellissima ombra della mamma, con la sfortuna di esser rimasta zoppa. E ancora, il Figlio, spedito in Inghilterra in avanscoperta per poter un giorno ampliare i loro commerci, e lassù sparito in un silenzioso oblio, e lo Zio, arguto dispensatore di consigli benché trascorresse gran parte del giorno immerso in un bizzarro sonno perpetuo. In questa piccola comunità, devota ai propri ordinati ritmi quotidiani, piomba un giorno lei, la Sposa Giovane, che ahimè tutti avenano dimenticato essere stata promessa al Figlio, tempo addietro, e che lasciandosi alle spalle l'Argentina ed una numerosa famiglia di allevatori di bestiame si presenta, puntualissima nel giorno concordato, alla porta della loro dimora, per portare infine a compimento il suo destino.
Peccato che il Figlio, inghiottito in un nulla da cui riemergono solo saltuariamente bizzarri oggetti da lui spediti presso la sua antica dimora, continui ad essere assente; ma la sposa giovane, testarda, ostinata, fatalista, decide di aspettarlo, entrando in punta di piedi anche lei nell'esistenza della Famiglia.
Storia sensuale, femminile, poetica, per certi versi lenta - lentezza che per me non è un difetto, ma quasi un cedere del romanzo ai ritmi pacati di una residenza borghese dell'inizio del secolo scorso, con un retrogusto di malinconica rassegnazione verso il destino e la solita, straordinaria capacità di Baricco di delineare spiriti inquieti, o sognatori, o prepotentemente sensuali, disegnando personaggi mai privi di una qualche caratteristica bizzarra o surreale, il suo marchio inconfondibile.
Un breve viaggio in cui il silenzio è uno degli elementi dominanti, in una immensa, lussuosa dimora persa nella quiete della pianura, in un mondo apparentemente in bilico tra reale ed immaginario, insensato e potente come un sogno, che una volta sfumato lascia sospesi nell'aria del dormiveglia i suoi sfuggenti interrogativi...

UN ASSAGGIO:

"E in effetti, dal nulla, presero ad arrivare, uno ad uno, piccoli uccelli dalla pancia gialla, quasi delle rondini, ma con una loro andatura sconosciuta, e un riflesso di altri orizzonti nelle piume. Ora fa silenzio e ascolta - disse la Figlia. Gli uccelli tracciavano il lago con un volo pacato, a qualche spanna di altezza. Poi, d'un tratto, perdevano quota e diventando velocissimi scendevano a pelo dell'acqua: lì, in un istante, divoravano al volo un insetto che era andato a cercarsi casa, o conforto, sulla crosta umida del lago. Lo facevano con una scioltezza divina, e nel farlo, per un attimo strisciavano con le loro pance gialle sull'acqua: nel silenzio assoluto della campagna inebetita dal caldo, si udiva un fruscio argentino, per un istante, le piume a suonare la pelle dell'acqua. E' il rumore più bello del mondo, disse la Figlia. Lasciò passare del tempo, e un uccello dopo l'altro. Poi lo ripetè: E' il rumore più bello del mondo."

giovedì 29 settembre 2016

JONAS JONASSON - L'assassino, il prete, il portiere

DOVE: in giro per la Svezia, partendo da Stoccolma per arrivare ad una minuscola isola di pescatori a Gotland

QUANDO: oggi

Graffiante, politically scorrect, dissacrante. Questi i tre termini con cui definirei questo succoso ed irrestibile noir ironico, in perfetto stile Jonasson (se avete letto Il Centenario che Saltò dalla Finestra e Scomparve, sapete a cosa alludo).
Siamo ad Oslo, in un piccolo e squallido hotel ad una stella - o meglio, in un ex bordello promosso poi a sudicio alberghetto destinato a dare riparo a una variegata fetta di umanità dal dubbio spessore morale; qui lavora Per Persson, insoddisfatto receptionist apparentemente condannato ad una vita squallida. Figlio di una madre distaccata, nipote di un nonno che per cocciutaggine imprenditoriale ha visto dissiparsi come un miraggio la piccola fortuna che lui stesso aveva accumulato negli anni, l'abulico Per svolge il suo lavoro senza particolare entusiasmo nè convinzione, continuamente rimuginando su ciò che avrebbe potuto essere, finchè nella sua vita non arrivano due personaggi apparentemente agli antipodi.
Da un lato, il feroce Johan Andersson, più noto alla Svezia come Anders l'assassino, killer efferato che ha trascorso gli ultimi trent'anni alternandosi tra il carcere e le occasionali prestazioni omicide e limitandosi, nel resto del tempo, a vegetare imbottito di alcool e pasticche.
Dall'altro, Johanna Kjellander, donna-prete senza vocazione - per non dire "atea"- divenuta pastore in ossequio alle volontà del padre ed alla tradizione della famiglia Kjellander, ritrovatasi senza un tetto e senza soldi dopo una sua "spiacevole gaffe" durante la funzione religiosa.
E tanto Andersson è ottuso, ignorante, facilmente offuscabile dall'alcool, tanto il pastore Kjellander è sveglia, spregiudicata, ricca di inventiva; ecco dunque che i tre - accomunati seppur per motivi completamente diversi, dall'essere tre spiantati insoddisfatti dalla vita - si alleano in quella che sarà la miccia e l'innesco di una storia che dire scoppiettante è dire poco. Perchè, infatti, non creare una società che sfrutti il vasto curriculum di Anders l'omicida mettendo le sue competenze al servizio della malavita, offrendo - con opportuno tariffario - i più svariati servizi a coloro che, nei bassifondi di Stoccolma, avessero un nemico del quale vendicarsi (o nei casi più estremi, liberarsi)?
Detto, fatto. Johanna Kjellander e Per Persson si occupano - per così dire - delle pubbliche relazioni, mentre Anders l'assassino, opportunamente e costantemente addolcito da abbondanti dosi di vino, esegue il lavoro sporco. Ma questo non è che l'inizio, perchè la storia si dipana velocemente, srotolandosi davanti ai nostri occhi come un delizioso film oscillante tra il noir e la commedia brillante, mixando ingredienti su ingredienti: dalla fuga attraverso la Svezia alla fondazione di una bizzarra congregazione religiosa, fino a tirare in ballo addirittura Babbo Natale, e poi ancora, fino allo strambo finale.
Una storia leggera ma sorprendente, guizzante e piena di brio, che parla di truffatori e di truffati, di buoni e cattivi, di bene e di male, di individui apparentemente poco raccomandabili che si rivelano invece pezzi di pane, e di individui che invece sfruttano la loro apparenza rispettabile per raggirare gli altri. Il tutto, imprescindibilmente mescolato ad una grassa dose di ironia, in perfetto stile Jonasson.

UN ASSAGGIO:

"Nonostante tutto si scolarono insieme la bottiglia e forse fu grazie a essa che i due si trovarono d'accordo nel ritenere che una certa attenzione mediatica fosse un metodo in sè rischioso, ma efficace per raggiungere gli obiettivi prefissati. Venne stabilito che l'assassino avrebbe concesso un'intervista in esclusiva a uno dei mass media svedesi più adatti allo scopo, e così sarebbe emerso il suo insolito talento.
Il responsabile della reception si mise a leggere i giornali del mattino, i tabloid, i settimanali e le riviste, prese a seguire i programmi offerti da diversi canali televisivi e ad ascoltare la radio e alla fine decise che il risultato migliore e più immediato lo avrebbero ottenuto ricorrendo alla pubblicità che si sarebbero fatti comparendo su uno dei due tabloid nazionali di spicco. La scelta finale cadde sull' "Expressen", perchè sembrava più facilmente abbordabile dell' "Aftonbladet".
Nel frattempo il pastore informò Anders l'assassino del motivo di quell'iniziativa e di cosa essa comportava, poi pazientemente si esercitò con lui nella preparazione dell'immimente intervista. Gli riempì la testa di informazioni sul messaggio che intendevano lanciare, che cosa bisognava dire e che cosa invece non bisognava dire. Dulcis in fundo, lui doveva apparire sul giornale come:
1. in vendita
2. pericoloso, e
3. pazzo"

lunedì 19 settembre 2016

ROBERT LOUIS STEVENSON - Il dottor Jekyll e Mr. Hyde

DOVE: Londra, Inghilterra
QUANDO: metà dell'Ottocento

L'autunno mi rende nostalgica ed affamata di classici, e le giornate piovose mi spingono ad un inevitabile mix libro-plaid-gatto-divano, meglio ancora se il libro in questione è un buon classico della letteratura horror.
Premetto di non essere una cultrice del genere, perlomeno per quanto riguarda gli scrittori contemporanei... ma il fascino vintage delle atmosfere da brivido evocate dagli autori classici, a quello no, non resisto.

Da Frankenstein, a Carmilla, passando per Dracula e i racconti di Lovecraft... adoro immergermi nella lettura mentre magari fuori piove a catinelle, e mi godo una mattina di riposo in casa prima di andare al lavoro. E la storia del dr. Jekyll, studioso dall'irrefrenabile ambizione divenuto vittima e carnefice ad un tempo, incastrato come un'anima dannata nel suo stesso esperimento, è perfetta per i primi freddi autunnali. Si sorseggia lentamente ma in una mattinata, come una tisana bollente, colpendoci con la forza dirompente della letteratura dell'ottocento inglese.
Strade umide e deserte, nebbia a velare i contorni dei palazzi come un sudario, un laboratorio di anatomia in semi-abbandono, individui misteriosi che si aggirano nelle notti londinesi macchiandosi di atroci crimini, un avvocato che cerca di riunire i pezzi del puzzle sperando di salvare il suo vecchio amico Jekyll da quella che ritiene sia la minaccia di un ricatto da parte dello spregiudicato e rabbioso Hyde. Pochi, semplici ingredienti ben miscelati, quelli che compongono la classica storia dello scienziato che, sfidando Dio, crea una pozione in grado di scindere le due metà intrinseche nell'animo umano: la parte buona e quella cattiva, il bianco e il nero, lo yin e lo yang.
Da un  lato, il dottor Jekyll: rispettabile, brillante, educato, uomo di grande statura fisica e morale, benefattore, umano, scienziato di pregio.
Dall'altra, il signor Hyde: di piccola statura, iracondo, violento, sgradevole, prepotente, misteriosamente sfuggente.
Inspiegabilmente, il primo nutre - e dichiara pubblicamente - stima ed affetto verso il secondo, al punto di chiedere al leale Utterton, amico di vecchia data prima ancora che avvocato, di custodire un testamento nel quale si dichiara Hyde erede universale delle fortune di Jekyll; da questo, e da una serie di vicende collaterali che per pura coincidenza incrociano la strada del giovane avvocato, quest'ultimo inizia ad insospettirsi ed indagare sul rapporto morboso che sembrerebbe legare i due individui, fino al tragico epilogo finale.
Storia classica, ho scritto, ma non lasciatevi ingannare credendo sia banale. Quella di Jekyll e Hyde è una storia che crediamo di conoscere, tanto ormai è divenuta quasi proverbiale, ma che va assolutamente letta.
Cosa accade, infatti, quando le due entità iniziano ad esistere in maniera distinta? La metà malvagia, l'orribile e demoniaco Hyde, accetterà di essere messo a tacere a piacimento del suo alter ego? E la parte buona, il rispettabile dottor Jekyll, è davvero così integerrimo da non lasciarsi corrompere dalla possibilità di compiere atrocità indicibili senza che la sua rispettabilità sociale ne venga intaccata?

E' davvero tutto così limpido e banale?
E basterà una contro-pozione a ripristinare l'ordine iniziale, rifondendo le due entità in un unico essere imperfetto?

Una storia, insomma, assolutamente da leggere, assaporare, sulla quale riflettere.


UN ASSAGGIO:

"Una domestica che viveva sola, in una casa poco distante dal fiume, era salita in camera per andare a letto. Per quanto a notte fonda fosse scesa una nebbia fitta sulla città, quelle prime ore erano terse e il vicolo su cui dava la finestra della sua camera era illuminato quasi a giorno dalla luna piena. Pare fosse donna di natura romantica, perchè seduta sul baule, appena sotto la finestra, s'era abbandonata sognanti fantasie. Mai ( e lo diceva con gli occhi pieni di lacrime tutte le volte che raccontava di quella vicenda) come in quella occasione si era sentita così in pace col mondo, e vicina al genere umano. Mentre se ne stava lì seduta si accorse della presenza d'un uomo anziano di bellissimo aspetto, con i capelli bianchi, che risaliva lungo la strada, nella sua direzione; gli andava incontro un altro signore, molto piccolo, cui lei sulle prime non fece caso. Quando si trovarono vicini l'uno all'altro (il che avvenne proprio sotto la sua finestra) il più anziano si inchinò avvicinandosi all'altro con fare molto cortese ed educato. Non sembrava che si trattasse di un problema di gran conto; anzi, dal modo in cui gesticolava, sembrava che stesse solo indicando la strada; mentre parlava, la luna lo illuminò in viso e la ragazza rimase a guardarlo con piacere, tanta era l'innocenza che quel volto pareva emanare, insieme a una nota di autocompiacimento e una sorta di aristocratico distacco. A quel punto lo sguardo della ragazza passò all'altro, in cui, con sorpresa, riconobbe un certo Mr. Hyde  che una volta era venuto a trovare il suo padrone e per il quale lei aveva subito nutrito una certa antipatia...."

domenica 4 settembre 2016

SOPHIE HART - Il Club delle Cattive Ragazze



DOVE: Bristol, Inghilterra
QUANDO: oggi

Altra storiella leggera e fresca, perfetta per il clima torrido dell'estate, un po' sulla stessa lunghezza d'onda dei Piccoli Limoni Gialli (vite in corso di cambiamento, cuori che palpitano, profumi di cucina), con un pizzico di pepe in più.
Eccoci qui, catapultati nella vita impegnativa e profumata di Estelle, mamma separata - seppur in buoni rapporti con l'ex marito - e proprietaria del piccolo ed ahimè poco frequentato Cafè Crumb, pasticceria e sala da te da lei aperta dopo la separazione con grande spirito di intraprendenza e voglia di mettersi in gioco, ma che stenta  decollare. Divisa tra il figlio adolescente Joe e i suoi allenamenti di calcio e le finanze traballanti del locale, Estelle ha ben poco tempo da dedicare alla sua vita privata e sentimentale, mentre l'ex marito Ted e la sua seconda - e giovanissima - moglie Leila, aspettano felici un bambino.
Sonfortata, temendo di dover chiudere il locale da lei tanto amato, un giorno Estelle ha una brillante intuizione: perchè non organizzare un book club, per richiamare avventori e salvare il Cafè Crumb da un ingiusto oblio? E book club sia. La partenza, a dirla tutta, è parecchio tiepida; un ridottissimo manipolo di partecipanti (la giovane e fascinosa Grace, femminista dallo stile vintage; l'imbranato studente universitario Reggie; Sue, neo-pensionata desiderosa di dare un senso alle ore vuote anzichè sprofondare in un torpore letargico sul divano di casa assieme al marito George; Rebecca, neosposa in crisi), e un dibattito poco entusiasmante su Tess dei D'Urberville sembrerebbero arginare l'iniziale entusiasmo di Estelle verso la sua iniziativa. Davvero il book club è destinato a naufragare poco dopo il suo varo, portando con sè l'unica vaga speranza di risollevare le sorti del locale?
Inaspettatamente, l'ancora di salvezza arriva dalla penna di C.J. Jones, discussa autrice del best seller a sfondo erotico Ten Sweet Lessons; e se fosse quello, il prossimo libro oggetto di discussione?
Dissolto rapidamente l'iniziale imbarazzo, il book club vira dunque rotta, specializzandosi nei classici della letteratura erotica di tutti i tempi, accendendo molto più di accesi e scabrosi dibattiti con cadenza bisettimanale; saranno infatti le vite stesse dei cinque partecipanti a subire - inaspettatamente - una scossa.
Piccante, profumato, dolce, ricco di quei piccoli colpi di scena - mai del tutto inaspettati, eppure piacevolmente graditi - tipici delle piccole commedie leggere, di quelle che di tanto in tanto fa bene leggere, perchè malgrado tutto abbiamo ancora voglia di credere che i batticuori esistono, e che leggere può essere di stimolo per cambiare - e scuotere, se necessario - le nostre vite.
Da divorare a bordo piscina, o su una sdraio godendosi il fresco delle serate estive.

NB: anche se non mi occupo di cucina, linko qui la ricetta della torta in foto, una sbriciolata veloce veloce e di sicura riuscita (io ho sostituito la cioccolata con delle amarene sciroppate).
Perfetta, secondo me, in abbinamento a questo libro ^_^


UN ASSAGGIO:

"Reggie mise gli spaghetti al ragù nel microonde e regolò il timer, impaziente.
Come sempre, sembrava che in cucina fosse appena passato un ciclone, si rese conto guardandosi intorno. Viveva in uno degli edifici vittoriani in Pembroke Road, a Clifton, insieme ad altri cinque studenti che aveva conosciuto rispondendo ad un annuncio di affitto sul giornale locale. Benchè si sforzasse di tenere la sua stanza relativamente pulita, gli spazi comuni erano fuori controllo: il lavello pieno fino all'orlo di stoviglie usate che galleggiavano un'acqua grigiastra, e pile di contenitori del take away ammonticchiate sul secchio della spazzatura ricolmo, che nessuno si preoccupava di svuotare. Il foglio coi turni delle pulizie che aveva attaccato al frigo con un magnete era strappato, coperto di macchie e ignorato da tutti.
Mentre il vassoio di plastica ruotava senza posa nel microonde, Reggie pensò che esistevano modi più eccitanti di trascorrere il venerdì sera. Magari poteva fare una pazzia e stappare una bottiglia di vino - c'era quel buon Syrah, quello che aveva preso in offerta speciale al supermercato, e...
La porta d'ingresso sbattè e Reggie fece un salto. Pochi minuti dopo una ragaza piombò in cucina, imbacuccata per il freddo. I capelli biondi con la lunga ricrescita scura erano arruffati, indossava jeans aderenti, stivali pesanti, un giaccone di pelle corto e un'enorme sciarpa etnica arrotolata più volte intorno al collo.
"Ciao Reggie, come va?" era la sua coinquilina, Selena, specializzanda in Sociologia.
"Bene. Stavo.. hm.. cucinando." rispose lui impacciato, indicando il microonde.
"Ah, Tesco's Finest?" tirò ad indovinare Selena.
Reggie scosse la testa "Marks & Spencer"
"Giusto, del resto è venerdì sera, perchè non viziarsi un po'?" scherzò Selena lasciando cadere la borsa a terra.

mercoledì 10 agosto 2016

JONATHAN COE - I terribili segreti di Maxwell Sim

DOVE: in viaggio tra l'Inghilterra e la Scozia
QUANDO: 2009

Ancora svolte, ancora cambiamenti repentini della vita (dopo la recensione di Piccoli Limoni Gialli), ma stavolta, di tutt'altro sapore.
Maxwell Sim, 48 anni, uomo dalla vita ordinaria - un lavoro non particolarmente entusiasmante, una ex moglie ed una figlia che vivono in un'altra città, un addome prominente e i capelli che ingrigiscono - si trova improvvisamente a fare i conti con la sua esistenza atonica e senza scossoni. Rientrando a Watford, UK dopo un viaggio in Australia in visita a suo padre, infatti, lo assale tutto a un tratto con violenza la consapevolezza di essere incommensurabilmente solo, a dispetto dei suoi contatti facebook. Ma lui, uomo tutt'altro che energico e pieno d'iniziativa, immerso da oltre sei mesi in un limbo di depressione che lo ha spinto anche a prendersi una lunga aspettativa dal lavoro, si culla nella deprimente consapevolezza di questo senso di abbandono fino a quando un'incredibile, capricciosa, collana di eventi consecutivi non sembra mettergli davanti uno spiraglio di luce. Trevor Paige, l'ultimo superstite tra quelli che poteva considerare "amici", lo contatta proponendogli un lavoro come rappresentante di spazzolini da denti ecologici per una piccola, ambiziosa ditta che si propone di sbaragliare le grosse multinazionali e la crescente crisi economica producendo artigianalmente spazzolini a basso impatto ambientale. Non solo: per il lancio dell'ultimo, strabiliante modello si propongono una campagna pubblicitaria d'impatto, spedendo quattro rappresentanti ai quattro angoli dell'Inghilterra chiedendo loro di tenere un video-diario del viaggio, e promettendo oltretutto un allettante premio in denaro.
Sembrerebbe la tanto attesa svolta nella vita piatta e grigia di Max: da Watford alle remote isole Shetland a bordo di una Toyota Prius; e allora che cosa è andato storto? Perchè il 9 marzo 2009 una pattuglia di polizia ritrova Maxwell Sim nudo ed in coma etilico nella sua auto abbandonata in mezzo alla tormenta, con un bagagliaio carico di spazzolini da denti e un sacco pieno di cartoline provenienti dall' estremo oriente?

In un silenzioso, angosciante, piovoso e  solitario viaggio attraverso l'Inghilterra - ed attraverso la mentre sconvolta dalla depressione - ripercorriamo con lui, passo dopo passo, tappa dopo tappa, il suo lento, amaro, inesorabile declino. E poi? Ci sarà un colpo di reni che lo riporterà a galla? O Max Sim finirà per lasciarsi affogare negli oscuri gorghi del suo male nero?
Al sorprendente colpo di scena finale, l'ardua sentenza; non anticipo nulla, ma dico solo che se le ultimissime pagine vi hanno entusiasmato, consiglio vivamente la lettura de "L'immortalità" di Kundera (già recensito qui)...


UN ASSAGGIO:

"Prima di incamminarmi verso l'entrata principale, presi la videocamera e filmai per una ventina di secondi, inquadrando tutto il palazzo, da sinistra a destra e dall'alto in basso. Era la prima volta che usavo la videocamera, ma sembrava abbastanza facile da maneggiare. Non so bene perchè lo feci, però: in parte per calmarmi i nervi, forse, e in parte perchè pensai che a mio padre sarebbe piaciuto vedere il filmato la prossima volta che ci fossimo incontrati, chissà quando. Quel che è certo è che non sarebbe stato molto utile a Lindsay o Alan Guest per il loro video promozionale. Finite le riprese, riposi la videocamera nel vano portaoggetti e bloccai gli sportelli dell'auto.
E' strano che adesso, quando ripenso a quella mattina, e mi rivedo camminare sulla distesa d'asfalto davanti al palazzo, io abbia la sensazione che tutto si svolgesse nel silenzio più assoluto. Eppure, evidentemente, non esiste una cosa come il silenzio assoluto. Non in Inghilterra. Quindi doveva esserci stato il rombo del traffico sulla Eastern Avenue, o il gemito distante delle sirene della polizia, o il pianto di un bambino in una carrozzina due strade più in là, ma non è così che ricordo la scena. Era tutto immobilità e silenzio. Era tutto mistero."

sabato 6 agosto 2016

KASJIA INGEMARSSON - Piccoli Limoni Gialli

DOVE: Stoccolma, Svezia
QUANDO: oggi

Leggero, frizzante, arioso; e poco importa se tutto sommato il finale è ampiamente prevedibile e sappiamo già quale sarà l'attesissimo colpo di scena dopo poco più di metà libro... E' comunque piacevole lasciarsi trasportare tra i profumi e i colori di un solare e coraggioso ristorantino neonato in attesa di ricevere la recensione che consentirà il suo decollo nel competitivo mondo della ristorazione di Stoccolma.
Ma andiamo per ordine; la storia è quella di Agnes, fuggita dalla mediocrità di Lanninge, paesone industriale nel quale ha lasciato i genitori e la sorella Madde, per cercare fortuna - e sè stessa - lavorando come cameriera a  Stoccolma. Non avrebbe avuto - pensava - il destino segnato dei suoi concittadini, impiegati nella fabbrica locale, stipati in minuscole villette a schiera, sposati felicemente e felicemente senza ambizioni; ma tutto sembra remarle contro.
Armata di buona volontà e testardaggine Agnes sopporta qualche iniziale delusione - lavori poco gratificanti e malpagati in ristorantoni squallidi e di dubbia qualità- sperando di riuscire, un passo dopo l'altro, ad arrivare più in alto ; e quando approda come maitre nel prestigioso Bateau Bleu, le sembra di toccare il cielo con un dito. Peccato che poi, tutto precipiti: prima le pesanti molestie del titolare che la costringono ad abbandonare l'ambitissimo posto, poi l'adorato fidanzato Tobia che la molla di punto in bianco per un'altra. In una giornata, la vita di Agnes va in frantumi. Ma lei è una che non si abbatte, e affiancata dall'estrosa e travolgente amica Lussan resta a galla, in cerca di una svolta.
E se la tanto attesa svolta fosse il "Piccoli Limoni Gialli", il ristorantino mediterraneo che il suo amico ed ex collega Kalle sta inaugurando proprio in quei giorni? Agnes, inutile dirlo, si getta a capofitto con tutto il cuore in questa nuova avventura. Ed eccoci qui, in un locale accogliente e caldo, nel cuore della fredda Svezia; un piccolo gioiello dalle pareti giallo limone e dai profumi di basilico, menta, rosmarino. Un piccolo gioiello che però - ahimè - non brilla a dovere in una strada già satura di locali; eppure una speranza c'è, quella di una recensione - positiva, manco a dirlo - della temutissima ed osannata Lola, misteriosa critica gastronomica le cui attesissime recensioni sembrano avere il potere di sollevare ristoranti sull'orlo del baratro - o, al contrario, precipitarveli dentro. Ma quando arriverà Lola? Giungerà l'attesissima svolta per il Piccoli Limoni Gialli ed il suo staff? Ed Agnes? Rimetterà ordine nella sua vita?
Con leggerezza, piatto dopo piatto, aspettiamo il finale... prevedibile, come ho già scritto, ma pur sempre gradito.
Un libro scorrevole nel quale ho ritrovato un mix tutto sommato piacevole di richiami ad altre storie.... come ne Lo Strano Caso dell'apprendista libraia, anche qui una ragazza sola e dal cuore infranto, in cerca di riscatto in una grande città; come in Caffè Babilonia e in Moshi Moshi, l'incipit di una nuova vita è in un piccolo, caratteristico ristorante; come in Le lettere segrete di Jo, abbiamo una donna in cerca di sè stessa con un legame stretto ma conflittuale con la famiglia...

Nulla di particolarmente nuovo, eppure un mix che risulta gradevole, una piccola, profumata e breve evasione - in attesa di tuffarmi di nuovo in libri più "impegnati". ^_^


UN ASSAGGIO:

"Lanninge non era grande; era difficile definirla "città"; era piuttosto una cittadina, un paesone industriale. Il piccolo centro era costruito dalle due arterie principali lungo le quali erano disposte basse case di legno e costruzioni in mattoni a tre piani che risalivano al periodo di maggior splendore, gli anni Sessanta. In mezzo c'era la piazza, che fungeva anche da parcheggio. Un punto d'incontro naturale, proprio come Ronald's, il bar. Il sabato pomeriggio non c'era bisogno di fissare alcun appuntamento con gli amici, perchè tanto erano tutti da Ronald's. Dove si poteva andare, se no? Almeno così accadeva in passato, quando Agnes andava ancora a scuola. Ora la maggior parte dei suoi conoscenti aveva messo su famiglia , e probabilmente non aveva troppo tempo da trascorrere al bar. Questo non cambiava molto le cose per lei, dal momento che non frequentava più nessuno di loro, ed era passato parecchio dall'ultima volta che era andata in centro.
Quando tornava a casa, si fermava soprattutto nella villetta dei suoi genitori, un po' fuori città. A volte faceva qualche puntatina per andare a salutare i vecchi compagni di scuola, ma capitava sempre più di rado. Era difficile mantenere i contatti. Oltre ad Agnes, c'era solo un'altra ragazza della sua classe che non aveva ancora figli e per questo veniva giudicata un po' strana, lesbica o qualcos'altro - almeno così avevano lasciato intendere alcuni dei suoi compagni quando li aveva visti, poco prima di Natale."

mercoledì 27 luglio 2016

JULES VERNE - Viaggio al Centro della Terra


DOVE: ad Amburgo, ma soprattutto nel sottosuolo dell'Islanda
QUANDO: 1863

Claustrofobico, potente, un tantino lento rispetto agli standard odierni (soprattutto nelle descrizioni molto dettagliate) ma attualissimo nei colpi di scena e nelle emozioni forti che sa donarci ancora, sebbene scritto nella seconda metà dell'800; ecco l'ennesimo classico che non delude.
Ma d'altronde lui è Jules Verne, insaziabile viaggiatore ed autore prolifico, "padre" della fantascienza moderna, straordinario creatore di Ventimila Leghe Sotto i Mari, de Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni e di altri, meravigliosi astri del firmamento letterario.
Per carità, benvengano le letture da ombrellone più tradizionali - un bel thriller contemporaneo, perchè no... o un romanzetto fresco come una bevanda ghiacciata; ma per una volta, provate ad approfittare dell'estate per accostarvi ad un classico. E, se amate l'avventura e la fantascienza, cominciate dalle fondamenta.. cominciate da Verne.
Eccoci qui, catapultati ad Amburgo nel 1863, nella vita apparentemente ordinaria del giovane geologo Axel. Una vita, perlappunto, serena, se non fosse che lo zio del giovane - nonchè proprietario della casa in cui è ospite- non è un uomo qualunque, ma il professor Lidenbrock, stimato, eccentrico, collerico, illuminato professore di mineralogia.
E cosa accade se quest'uomo dalle mille sfaccettature e dagli entusiasmi potenti entra in possesso di un antico manoscritto che sembrerebbe indicare il percorso per arrivare al centro della terra? Ovvio: si prendono armi e bagagli e si parte alla volta dell'Islanda, per calarsi all'interno del cratere dello Sneffel - un vulcano ormai spento - e inseguire un sogno, sulle tracce di Arne Saknussem, lo scomparso scienziato autore appunto del manoscritto.
A nulla valgono i tentativi di Axel; in quattro e quattr'otto il professor Lidenbrock porta noi e lo sventurato nipote nella gelida e deserta islanda, con un pesante bagaglio e l'aiuto di una poderosa e taciturna guida locale, per iniziare la pericolosa discesa verso l'ignoto.
Che dire ancora? Preparatevi ad abbandonare la luce del sole per avventurarvi tra polvere, pietre acuminate, picconi, silenzio e sorgenti di acqua bollente, misteriose piante sotterranee e cunicoli ciechi, notti uguali ai giorni e giorni uguali alle notti; coperte stese sul granito duro e freddo; ed a molte, moltissime altre emozionanti sorprese.....

Un classico senza tempo che non delude, ma anzi lascia col fiato sospeso ancora oggi.

UN ASSAGGIO:

"Uno spaventoso gesto di collera fu l'ultima cosa che vidi prima di chiudere gli occhi. Quando li riaprii, scorsi i miei due compagni immobili, avvolti nelle loro coperte. Dormivano? Per mio conto, non potevo trovare un minuto di sonno. Soffrivo troppo, e soprattutto mi angosciava il pensiero che il mio male fosse senza rimedio. Le ultime parole di mio zio risuonavano nelle mie orecchie: " tutto è finito!". Ed ero certo che in quello stato di debolezza non potevo nemmeno pensare a risalire alla superficie della terra. Per una lega e mezzo s'innalzava la crosta terrestre: mi sembrava che quella massa gravasse con tutto il suo peso sulle mie spalle. Mi sentivo spezzato e mi sfinivo nello sforzo violento di rivoltarmi sul mio letto di granito.
Passarono alcune ore. Un silenzio profondo ci avvolgeva, silenzio di tomba. Nessun rumore veniva da quelle muraglie: la più sottile di esse misurava cinque miglia di spessore.
Tuttavia nel mio assopimento mi pareva di percepire un lieve rumore. Guardai attentamente, e mi sembrò di vedere l'islandese che spariva con la sua lampada in mano. Ci abbandonava? Mio zio dormiva. Volli gridare, ma la voce non riusciva a passare fra le mie labbra disseccate. L'oscurità era totale, e gli ultimi rumori si erano spenti."

venerdì 22 luglio 2016

RUDJARD KIPLING - Il Libro della Giungla

DOVE: perlopiù, in India
QUANDO: alla fine dell'800

Cosa adoro più di tutti della lettura? Essere libera. Poter spaziare da un tema impegnato ad una storiella leggera, da una parte all'altra del mondo, da un autore contemporaneo ad un grande classico.
Ed eccomi qui, faccia a faccia con un Nobel per la Letteratura, nonchè un celeberrimo titolo "per ragazzi" che, ahimè, fino ad ora conoscevo solo per la trasposizione cartoon della Disney. Diciamo pure che come mamma mi rendo conto di quanto sia vasta oggi l'offerta di libri per bambini e ragazzi, il che finisce inevitabilmente per lasciare in disparte titoli un tantino "datati", magari con uno stile ed un linguaggio poco vicino ai giorni nostri, eppure ancora ricchi, ricchissimi di messaggi e di atmosfere. Un libro dal sapore esotico, doppiamente lontano per noi lettori del Ventunesimo Secolo - che, nella fantasia di chi ci ha preceduto, saremmo diventati creature vestite di alluminio che si spostano su macchine volanti, mentre continuiamo quaggiù a rosolare dentro vecchie utilitarie incastrate tra Grande Raccordo Anulare e Pontina. Ma questa è un'altra storia; dicevamo, dunque, doppiamente lontano. Punto primo - e questo mi pare ovvio - perchè siamo perlopiù in India (fatta eccezione per il racconto La Foca Bianca, che ci trasporta nel freddo mare di Bering). Umidità, fitta vegetazione, liane mollemente cadenti dagli alberi, elefanti maestosi, cobra sfuggenti, tigri nascoste nel folto della jungla intricata e stillante afa. Punto secondo, perchè questa è l'India della fine dell'Ottocento: la calda, luccicante colonia inglese, in cui i dominatori sorseggiano il tè riparandosi dall'afa sotto ai portici e gli indigeni addestrano con orgoglio gli elefanti affinchè aiutino l'uomo nei lavori pesanti.
Insomma, una full-immersion in tempi e luoghi remoti, alternando prosa e poesia, per continuare ad insegnare agli uomini di oggi - al di là di certi dettagli che ad un occhio moderno appaiono assolutamente demodè - i valori senza tempo della lealtà, del rispetto, del coraggio. Mowgli, certo, chi non lo conosce? E con lui Baloo, Baghera, e l'ostinata e rancorosa Shere-Kahn. Ma anche Rikki-Tikki-Tavi, la piccola e coraggiosa mangusta; Kotick, la foca bianca che con coraggio ed ostinazione porta in salvo la sua colonia nel gelido e tempestoso mare del Nord; l'affascinante e leggendaria Danza degli Elefanti, che consentirà al piccolo Toomai di diventare finalmente un addestratore come suo padre e suo nonno prima di lui.. una moltitudine di personaggi dal sapore d'altri tempi, per certi versi non privi di una certa ingenuità che oggigiorno manca ai protagonisti dei libri per ragazzi.

Perchè, evviva Geronimo Stilton, evviva Harry Potter ( e cito qui volutamente due personaggi che io e mio figlio DIVORIAMO, "libristicamente" parlando, e ADORIAMO) ma i classici non devono morire.


UN ASSAGGIO:

"La prima cosa che sentì al risveglio fu la sensazione di mani che gli stringevano le gambe e le braccia; di piccole mani dure e robuste, poi un fruscio di foglie sulla faccia, allora guardò giù fra i rami oscillanti mentre Baloo risvegliava la Jungla con i suoi urli profondi e Bagheera balzava su per il tronco digrignando i denti. I Bandarlog mandarono uno strillo di trionfo, e sgattaiolarono su verso i rami più alti, dove Bagheera non osava seguirli, gridando: "Ci ha guardato! Bagheera  i ha guardato! Si è accorta di noi! Tutto il Popolo della Jungla ci ammira per la nostra destrezza e la nostra astuzia!"
Poi iniziò la fuga, e la fuga delle scimmie attraverso le regioni degli alberi è una cosa che nessuno riesce a descrivere. Hanno delle vere e proprie strade e degli incroci che salgono e scendono e corrono tutte da cinquanta a settanta o cento piedi da terra, e possono percorrerle anche di notte se occorre. Due delle scimmie più forti avevano afferrato Mowgli sotto le braccia e saltavano sostenendolo da una cima all'altra, facendo dei salti di venti piedi alla volta."

domenica 26 giugno 2016

ANDRE' BRINK - La polvere dei sogni

DOVE: Sudafrica
QUANDO: metà anni '90, alle soglie dell'elezione di Nelson Mandela

In una immaginaria città del Sudafrica, una donna sta morendo. Ouma Kristina, centenaria, minuta, coriacea vecchietta che si ostina a vivere sola in una immensa ed eccentrica costruzione di proprietà della sua famiglia da tempi immemori, si sta lentamente spegnendo. Ma non è la vecchiaia ad ucciderla, quanto piuttosto la violenza di ignoti che, in una notte turbolenta, hanno appiccato il fuoco ad un'ala del suo sterminato palazzo. Sono tempi cupi, per il Sudafrica; per la prima volta dopo anni la popolazione nera avrà accesso a delle libere elezioni, e nei giorni che le precedono l'entusiasmo, la rabbia covata in anni e anni di apartheid, il desiderio di riscatto, si miscelano in un cocktail esplosivo. Dall'altra parte del pianeta, sua nipote Kristien, fuggita anni prima dalla grettezza di un mondo claustrofobico, ma rimasta legatissima alla nonna, sente il richiamo del cuore, molla il suo fidanzato perfetto Michael, la sua vita ordinata e vola al capezzale di Ouma, pronta ad esaudire le sue ultime volontà. Numero uno: lasciare l'ospedale asettico per tornare a morire nella sua amatissima e bizzarra dimora, fatta di stanze incastrate una nell'altra come scatole cinesi e di misteriosi e labirintici corridoi. Numero due: avere la sua nipote prediletta accanto al letto, munita di penna e taccuino, per poterle lentamente raccontare la sua storia; anche se dire "sua" è riduttivo, perchè quello che Ouma lentamente, tenacemente, con un sottile filo di voce va dipanando è un inanellarsi di racconti, uno per ciascuna delle straordinarie donne che si sono succedute nella loro famiglia. Ouma stessa, con una segreta storia d'amore sconvolgente per un uomo diverso da quello che Kristien ha sempre considerato suo nonno. La sfortunata Rachel, imprigionata nei sotterranei della casa e svanita nel nulla, lasciando dietro di sè una serie di disegni osceni che (stregoneria?) continuamente riaffiorano dalle pareti, malgrado queste vengano pulite costantemente.
Wilhelmina, solida, mascolina, terrificante matrona che negli anni assunse dimensioni talmente spropositate da non essere in grado di passare attraverso le porte della sua stessa casa. E poi la sensuale Kamma, volitiva fanciulla khoihoi sacrificatasi per cercare di portare la pace con i bianchi; e l'affascinante Samuel, dai lunghissimi capelli biondi.
Notte dopo notte, accoccolata accanto alla piccola Ouma sofferente, Kristien scrive, ed assorbe lentamente i suoi strampalati racconti; e, inevitabilmente, mentre lo fa si trova a ripercorrere passo dopo passo la sua storia personale.
Intorno a lei, uno scorcio amaro del Sudafrica in trasformazione, enorme farfalla in procinto di lacerare il bozzolo oscuro in cui per anni ha covato; da un lato, la popolazione nera, sballottata tra rabbia e rassegnazione. Dall'altro, i bianchi, discendenti degli ex coloni, perfettamente incarnati da Anna - sorella di Kristien, mamma pluripara, sciatta, depressa, insoddisfatta ma perfettamente in linea con ciò che la società si aspettava da lei - e da suo marito Casper, violento, maschilista, capobranco di un piccolo manipolo di razzisti.
Una storia che oscilla continuamente tra presente e passato, speranza e disperazione, poesia e crudezza, reale e irreale. Tassello dopo tassello, il puzzle prende forma, fino allo sconcertante, tragico finale.

UN ASSAGGIO:

" 'I cognomi non hanno importanza. Sono stati tutti aggiunti dopo, non puoi farci conto. Ogni volta che un uomo diventa padre non vede l'ora di mettere avanti il suo cognome. Ma come può essere sicuro che quello che lui ha messo dentro è lo stesso di quello che viene fuori? Solo noialtre possiamo dirlo per certo, e qualche volta preferiamo tenerlo segreto. E' di noi che parlo. Le donne. Te l'ho detto che questo è il mio testamento. E adesso che mi sto avvicinando alla morte questo è tutto ciò che conta veramente.'
'Fino a che punto riesci a risalire nel passato con la storia?'
'Abbastanza in là. Nella nostra famiglia abbiamo avuto la fortuna di avere sempre donne che raccontavano storie. Tu hai me, io avevo Petronella, nei aveva Wilhelmina e così via, sempre più indietro, fino alla donna che aveva due nomi, Kamma e Maria. Se ricordo bene il totale fa nove.'
'Allora la prima fu Maria-Kamma?'
'Certo che no. Mi stai ad ascoltare? Nessuno sa da dove abbiamo cominciato. A un certo punto il passato è avvolto nell'ombra. Secondo me ci siamo sempre state. Ci sono vecchie storie che parlano di una donna, nel profondo cuore dell'Africa, che venne da un lago portando sulla schiena un bambino e spingendo davanti a sè una vacca nera. O da un fiume, la donna-serpente con il gioiello sulla fronte. O dal mare. Un giorno una piccola onda si infranse sulla spiaggia e lasciò dietro di sè della schiuma, e sotto la luce del sole la schiuma diventò una donna. Questo però non lo sappiamo per certo, e io preferisco solo parlare delle cose che conosco.' "

mercoledì 27 aprile 2016

HARPER LEE - Va', metti una sentinella

DOVE: Maycomb, Alabama
QUANDO: anni '50

Avete presente Scout, la brillante e combattiva ragazzina protagonista del capolavoro di Harper Lee, Il buio Oltre la Siepe? Sì, proprio lei, la scalza maschiaccia di Maycomb, figlia del pacato avvocato Atticus Finch, finalmente è tornata. Ed è esattamente come la immaginiamo una volta cresciuta; una donna testarda, indipendente, allergica a pregiudizi ed etichette sociali, trasferitasi a New York e di ritorno nella piccola Maycomb in visita a ciò che resta della sua famiglia, dopo la morte - ahimè - del fratello Jem.
E se da piccola già stentava a tenere a freno la lingua di fronte a quelle che reputava ingiustizie, figuriamoci adesso, quando la maturità di una giovane ventiseienne residente nella grande mela consente a Jean Louise di vedere ancor più chiaramente l'asfissiante grettezza e la mentalità meschina della provincia americana. Anche Maycomb è più o meno come ce la immaginiamo negli anni '50; strade asfaltate, piccoli giardini curati, un piccolo chiosco di gelati là dove un tempo lei e Jem giocavano insieme ad Henry (Hank) Clinton, lo storico amico d'infanzia divenuto ora un tranquillo ed affidabile praticante avvocato nello studio di Atticus Finch, nonchè corteggiatore di Jean Louise. Inutile dire che la tranquilla vita di provincia a Jean Louise - che nel profondo del cuore continua ad essere la burrascosa Scout - comincia presto ad andare stretta; quelle che un tempo erano state le sue compagne di scuola sembrano essersi tramutate una dopo l'altra in amabili casalinghe, che scrollatesi di dosso qualsivoglia ambizione personale vivono contemplando amorevolmente i loro mariti, riflettendone persino le opinioni, incapaci perfino di concepire propri pensieri indipendenti. Il germe del razzismo, che da tempo covava sotto la superficie dorata della piccola cittadina, continua a germogliare e spandere il suo veleno ipocrita; la comunità nera e quella "rispettabile" bianca vivono a debita distanza, in un precario equilibrio.
Ma soprattutto, il mondo di Jean Louise comincia a vacillare nel momento in cui perfino Atticus - suo padre, Atticus Finch, che per lei era il sole attorno a cui ruotava l'intero universo - sembra apparentemente deluderla, tradendo quelli che fino ad allora per lei erano stati i principi fermi ed indiscutibili della sua cieca fede in Atticus. Scavando in un passato talvolta dolce, spesso doloroso, Scout porta alla luce i piccoli, inconfessabili segreti di famiglia che la costringono inevitabilmente a maturare, rivedendo i suoi rapporti familiari, quello con Hank ma soprattutto rivedendo il rapporto con sè stessa. E, anche se sarà un processo doloroso - i cambiamenti lo sono sempre, specialmente quelli bruschi - la giovane Scout sopravvivrà. Perchè d'altronde continua ad essere la tosta figlia di Maycomb che scazzottava coi maschi.

Non aggiungo altro; per chi ha amato Harper Lee sarà certamente un piacere ritrovare la sua protagonista. Per tutti gli altri, un'occasione magari per accostarsi a lei, considerando fra l'altro che quest'opera era stata concepita dall'autrice prima di comporre Il Buio Oltre la Siepe, ma che poi da una serie di considerazioni di carattere editoriale è venuta fuori quest'ultima.
(Rimando alla pagina di Wikipedia tutti coloro che fossero interessati all storia di Va', Metti una Sentinella)
Infine, ultimo ma non per importanza, con questo post completo la mia partecipazione al Link Party del Blog Cinebooks Blog, dedicato ai libri ed alla primavera ^_^.
Cliccando sul link arriverete direttamente alla pagina dell'iniziativa, dove potete trovare la lista di tutti i blog partecipanti: una vera miniera d'oro, per gli amanti della lettura!


UN ASSAGGIO:

"La Seconda Guerra Mondiale ebbe una certa influenza su Maycomb: i suoi figli che tornavano a casa avevano strane idee su come fare quattrini e una gran fretta di recuperare il tempo perduto. Pitturavano le case dei genitori di colori atroci; imbiancavano i negozi di Maycomb e montavano insegne al neon; per se stessi costruivano case in muratura in quelli che una volta erano campi di granoturco e pinetine; rovinavano l'aspetto della vecchia città. Le sue strade non furono soltanto latricate, ma anche battezzate (Adeline Avenue, dal nome di Miss Adeline Clay), a i vecchi residenti si astenevano dall'usare i nomi delle vie: per orientarsi bastava indicare "la strada che passa davanti a Tompkins Place". Dopo la guerra, da tutte le aziende agricole della contea affluirono in massa a Maycomb giovani che costruivano casette di legno che sembravano scatole di fiammiferi e mettevano su famiglia. Nessuno capiva come facessero a sbarcare il lunario, ma in un modo o nell'altro ci riuscivano, e se il resto della città avesse riconosciuto la loro esistenza avrebbero creato a Maycomb un nuovo strato sociale.
Anche se l'aspetto della città era cambiato, nelle case nuove battevano gli stessi cuori, davanti ai frullatori e ai televisori. Si poteva dare una mano di bianco a tutto quello che si voleva, e montare buffe insegne al neon, ma le vecchie case di legno reggevano bene allo sforzo anche sotto questo peso supplementare."



giovedì 7 aprile 2016

GABRIELLE DONNELLY - Le lettere segrete di Jo

DOVE e QUANDO: tra la Londra di Oggi e Concord, Massachussets, seconda metà dell'Ottocento

Tre sorelle londinesi, una mamma psicoterapeuta con un passato ribelle ed una bisnonna ancor più anticonvenzionale, nientepopodimeno che la Jo March protagonista delle Piccole Donne con cui sono cresciuta: questa la combinazione di ingredienti che mi ha magneticamente attratto verso questo libro non appena ho letto la quarta di copertina. Come potevo lasciarlo lì? Jo, proprio lei, che tanto ho adorato sulla carta e sullo schermo (in tutte le salse.... dalla versione vecchissima del film con Liz Taylor fino ai cartoni animati giapponesi), estrosa, tosta, ribelle, energica, bisbetica, confusionaria e piena d'amore per la propria famiglia, è tornata.
Ma sto creando confusione, lasciandomi andare dall'impulso emotivo, lo stesso che mi ha fatto decidere in quattro e quattro otto di comprare il libro, nonostante fossi andata in libreria soltanto per comprare il Secondo Viaggio nel Regno della Fantasia di Geronimo Stilton per mio figlio ^_^.

Dunque, dicevamo, tre sorelle. Emma, la maggiore, composta, nei ranghi, ordinata, metodica. Una che fa esattamente quello che ti aspetteresti. Un fidanzato perfetto, un lavoro perfetto, in corso di preparativi per il matrimonio perfetto.
Sophie, la minore, biondissima, di professione attrice, corteggiata, brillante, sempre con la testa tra le nuvole, assolutamente lontana dai pensieri pratici, un tantinello svampita come da clichè delle bionde, ma sempre attenta e ferma nel voler realizzare i suoi sogni.
In mezzo lei, Lulu, persa in un limbo sentimentale e lavorativo in cui nulla sembra soddisfarla. Brontolona, tenace, disillusa dalla vita, una laurea conseguita con voti brillanti eppure senza convinzione, un'amore sconfinato per le proprie sorelle eppure l'amarezza di sentirsi un passo indietro rispetto ad esse. Nei loro brunch domenicali a casa dei genitori, immancabile il confronto. Emma e Sophie, seppure in modo diverso (ed in direzioni diverse) puntano con sguardo fermo verso il proprio futuro. Lulu, invece, sembra svolazzare qua e là come un uccello in gabbia, incapace di trovare la propria strada.
Fino a quando, in soffitta, mentre cerca un vecchio ricettario di famiglia, non s'imbatte in una scatola di ricordi, dove, tra fotografie ingiallite e guanti ottocenteschi non incontra lei, nonna Jo, morta a cent'anni circondata dall'affetto della sua famiglia, attraverso una fitta corrispondenza che negli anni l'aveva legata alle sue sorelle, e attraverso la quale Lulu ricompone, passo a passo, la storia della sua famiglia. Giorno dopo giorno, all'insaputa di tutti, Lulu si chiude in soffitta e legge; e leggendo, piano piano, scopre che c'è stata, prima di lei, in famiglia, un'altra giovane donna inquieta, che scalpitava come un puledro di fronte alle convenzioni e che sembrava non avrebbe mai trovato il proprio posto nel mondo. Una giovane donna testarda e bisbetica, seconda di quattro figlie cresciute nel Massachussets da una madre amorevole mentre il padre combatte nella Guerra Civile.
Ma due mondi così lontani, gli USA ottocenteschi e la Londra degli anni duemila, possono ancora parlarsi? Riusciranno le parole di nonna Jo ad indirizzare la sua inquieta pronipote verso il suo destino?
Una storia scorrevole, fatta di confidenze in rosa durante assolati brunch domenicali punteggiati di fiori ed allettanti colpi di testa in una city frenetica e piena di occasioni. Un'occasione per incontrare quella che in un certo senso è stata una presenza "forte" nella mia vita letteraria di bambina, perchè Jo March è Jo March, punto. Ma soprattutto, pur nella sua frivolezza, un'occasione per riflettere sulla vita, sulle scelte, sull'amore che aspettiamo con tanta impazienza e che poi arriva dalla direzione in cui mai avevamo guardato.

PS: per tutte le amanti della Alcott, segnalo un libro che avevo recensito parecchio tempo fa e che era stato anch'esso una piacevole "riscoperta".. :-)


UN ASSAGGIO:

"La scatole occupavano la maggior parte dello spazio rimanente nella libreria. Ce n'erano più di dieci, in tela o cartone, di misure diverse e con il contenuto etichettato in modo chiaro dalla mano ordinata e ferma di nonna Jojo. Lulu si accovacciò per terra, spazzò via un paio dei ragni che tanto allarmavano Sophie e si accinse ad esaminarle. Pensò di ignorare quella con su scritto GIOIELLI e anche quella delle CARTE GEOGRAFICHE. Una scatola di scarpe con l'etichetta RICETTE sembrava promettente, ma conteneva soltanto una serie di rendiconti su sottile carta bianca, i  numeri scritti con un'antiquata macchina per scrivere. Un'elegante contenitore con le rifiniture in pergamena color panna e la scritta CISSIE riaccese le sue speranze, ma un controllo più accurato rivelò che ospitava solo alcuni diari logori ricoperti da una grafia fitta e illegibile: se era quella di nonna Cissie, pensò Lulu, non c'era da stupirsi che avesse deciso di far stampare le ricette. Su una scatola c'era scritto TRASCENDENTALISMO, che forse un tempo aveva appassionato qualche membro della famiglia, e su un'altra CONCORD. Il libro che cercava, però, non era nè nelle scatole nè infilato tra una e l'altra.
Lulu si alzò e si pulì le ginocchia disgustata. Nel chinarsi notò una valigetta di pelle seminascosta nell'ombra, posata sul pavimento tra la libreria e i bauli. Più grande delle scatole, era il tipo di valigia usato dai medici, con il manico robusto ed un vecchio fermaglio di ottone annerito; non aveva nè etichetta nè descrizione. Curiosa, suo malgrado la prese, la portò allo sgabello sotto la finestra e l'aprì mentre le gocce di pioggia, battendo, disegnavano un tatuaggio sul vetro sopra alla sua testa."

domenica 3 aprile 2016

MASSIMO GRAMELLINI - Fai bei sogni

DOVE: Torino
QUANDO: tra la fine degli anni '60 ed oggi

Da quando - quasi sette anni fa - sono diventata mamma, ho scoperto una nuova forma di paura e di dolore. Prima di allora non mi preoccupavo mai più di tanto che potesse accadermi qualcosa; e comunque, se anche questo lontano pensiero mi avesse sfiorato la mente, avrebbe prodotto poco più che una noncurante alzata di spalle. Oggi, improvvisamente, il pensiero che io dovessi venire a mancare lasciando mio figlio mi spezza il cuore. L'idea di qualcuno che vada a dirgli che la sua mamma non esiste più, immaginare le sue lacrime, il suo senso di smarrimento, bastano a darmi la pelle d'oca. Diventi mamma, e Madre Natura ti dice che da quel momento in poi tu non sei più tu; tu sei una mamma, indissolubilmente legata alla creatura che hai portato in grembo. Scivoli in secondo piano, per lasciar spazio a lui.

Ed è con questo spirito che ho letto il libro di Gramellini, avventurandomi tra le sue pagine ignorando cosa mi aspettasse (al di là della quarta di copertina, evito sempre di leggere recensioni o qualsiasi altra anticipazione che possa privarmi del gusto della scoperta, quando inizio un libro) ed entrando in una storia diretta come un pugno allo stomaco.
Una storia autobiografica, che in poco più di duecento pagine mi ha strappato fiumi di lacrime.

Massimo, nove anni, in una fredda e nevosa notte dell'ultimo dell'anno, si sveglia e scopre che la sua vita è stata stravolta: improvvisamente la sua mamma non c'è più. Un bambino come tanti, che alla fine degli anni sessanta scopre tutto a un tratto che "come tanti" non lo è più. Lui è adesso agli occhi di tutti è un orfano, che dovrà lottare negli anni a venire non soltanto con i suoi demoni interiori (la rabbia, il senso di abbandono, il dolore che sembra schiantarti), ma anche con gli sguardi compassionevoli degli altri, con la pietà, con il disagio che gli adulti - estranei e non - provano nel doversi confontare con una realtà di dolore.
Massimo è solo. E' piccolo, è un bambino ed è solo ad affrontare una vita diversa da quella che aveva immaginato, una vita nella quale, da un momento all'altro, la sua mamma è stata cancellata da quella che semplicisticamente gli hanno definito come "brutta malattia". Niente più carezze consolatorie, niente più sorrisi orgogliosi davanti ai suoi piccoli, malfermi tentativi di approccio al disegno, niente più bacio della buonanotte. Accanto al padre, infiacchito dal dolore, lentamente Massimo cresce, matura, covando sempre nell'animo quel senso di abbandono, quella rabbia, fino al momento in cui, adulto, non si rende conto che è arrivato il momento di combattere i suoi demoni, lasciandoli venire alla luce. E affrontare finalmente il suo passato, scoprendo - ennesimo colpo al cuore, ennesima folata con cui la vita tenta di spezzarlo, invano -la verità su sua madre, e su quella lontana notte del 31 dicembre in cui tutto è iniziato.
Un libro straordinario, poetico, doloroso, talmente intimo che ti senti quasi in colpa, un libro che affronti in silenzio, in punta di piedi, con rispetto, come va affrontato il dolore.
Ma anche un libro di speranza, di rinascita, di lenta maturazione.
Ammetto di aver pianto tanto. E, per tornare alla mia premessa iniziale, l'ho fatto perchè mi rendo conto di averlo letto, dalla prima all'ultima pagina, attraverso i miei occhi, gli occhi di una mamma.
Una mamma strappata al proprio bambino, che non lo vede crescere, sbagliare, affrontare disorientato l'adolescenza per poi trovare una sua strada e diventare un uomo. Il dolore ha mille sfaccettature e mille modi di essere vissuto, ed in questo libro li ritroviamo tutti.
Il dolore rabbioso di un bambino alla quale sua madre viene ingiustamente strappata.
Il dolore amaro di un marito che vede appassire e sfiorire la donna che ha amato, senza poter fare nulla per impedirlo.
Il dolore accecante di una madre che perde la speranza, e si lascia andare benchè questo significhi non poter più, ogni notte, rimboccare silenziosamente le coperte al proprio bambino addormentato, sfiorandolo con un bacio silenzioso.


UN ASSAGGIO:

"L'operazione alle tonsille doveva essere stata un male bellissimo. La convalescenza mi aveva tenuto lontano dai compiti per settimane, in compagnia dei gelati della mamma e del mio rifugio segreto: il Sottomarino.
A una certa ora del pomeriggio abbassavo le serrande e mi infilavo nel letto all'incontrario, la testa in fondo e i piedi sotto il cuscino.
Effettuavo le immersioni in solitudine, però nei casi più delicati mi facevo scortare da Nemecsek, il ragazzo della via Pal che in una pagina del libro letta dalla mamma,e  facilmente riconoscibile perchè l'avevo imbrattata con la saliva dei miei singhiozzi, si trascina in strada nonostante sia moribondo per aiutare i compagni nella battaglia decisiva.
I nemici circondavano il Sottomarino da ogni parte. Ma io, protetto dal velo magico delle lenzuola, resistevo ai loro assalti fino all'arrivo della mamma con il vassoio della merenda. Quella fantasia mi trasmetteva un senso di sicurezza che in seguito avrei ritrovato soltanto nella scrittura.
La mattina dei funerali mi chiusi in camera e attesi che la bara fosse uscita di casa. Abbassai le serrande, mi infilai all'incontrario sotto le lenzuola e salii a bordo del Sottomarino con un bisogno disperato di dichiarare guerra al mondo intero. Ma non riuscivo più a trovare i nemici. Erano tutti dentro di me."

mercoledì 2 marzo 2016

Jane Austen - Sanditon

DOVE: Sanditon, piccola località sulla costa inglese
QUANDO: inizio dell'800

Un libro particolare, che - va detto subito, a scanso di equivoci - non ha conclusione. Nel senso che parliamo di un manoscritto la cui stesura fu abbandonata dalla scrittrice a pochi mesi dalla sua prematura scomparsa; ma una storia che merita assolutamente di essere letta, perlomeno per tutte coloro che, come la sottoscritta, hanno amato le opere della cara e preziosissima zia Jane. Qui ritroviamo tutta l'essenza della Austen, la sua graziosa e pungente ironia, le sue signorine dall'ingegno brillante, il suo acuto spirito di osservazione per la società del suo tempo, i placidi e rassicuranti convenevoli delle famiglie borghesi, i sentimenti in boccio, l'assoluta e sorprendente modernità di certe immagini ed espressioni che la penna attenta di Jane sapeva cogliere e trasferire su carta, ad uso e consumo di noi donzelle moderne.
Forse con quest'opera - più che con le altre- ho sentito chiaramente il senso di perdita, la nostalgia per quello che Jane avrebbe ancora potuto regalarci, l'assoluta grandezza del suo spirito di donna forte e moderna, per il suo stile deliziosamente scorrevole, essenziale eppure efficace, per la bellezza dei personaggi femminili che il suo ingegno ha saputo creare.
In questa storia - o meglio, accenno di storia, rimasta in sospeso come un sogno dal quale il trillo della sveglia ci abbia interrotto - Jane ci porta a Sanditon, piccola e sconosciuta località balneare della costa inglese, sulla quale l'intraprendente Mr. Parker ha deciso di investire i propri risparmi e il proprio spirito, certo di renderla entro breve tempo una località alla moda in grado di competere con la ben più scintillante ed affollata Brighton.
Accanto a lui, la sua pacata ed accondiscendente moglie Mary; le due sorelle di lui - zitelle eccentriche ed ipocondriache; il fratello di lui, giovane pallido e timido, vittima delle prepotenti attenzioni materne delle due sorelle maggiori; ed ancora la spigolosa Lady Denham, ricca e virile dama dal carattere granitico, socia di Mr. Parker nell'ardua impresa di richiamare a Sanditon le ricche famiglie della borghesia londinese; Miss Charlotte Heywood, arguta e brillante figlia di un signorotto della vicina campagna nonchè gradita ospite dei Parker. E poi l'affascinante Sir Edward, nipote di Lady Denham, e Miss Clara, pupilla di quest'ultima oltre che ragazza di umilissime origini; tutti personaggi disegnati con l'inconfondibile tratto d Jane, preciso ed attento nel delineare i caratteri con tanta intensità da renderceli vivi.
Per il resto, poco altro da dire su questo - ahimè troppo breve - assaggio di ciò che una grande scrittrice aveva ancora in serbo per noi; non avrei nemmeno le necessarie competenze per addentrarmi di più nel terreno di critici letterari ed esperti conoscitori della zia Jane.
E, a proposito di questo, per tutti coloro che volessero approfondire la conoscenza di questa straordinaria donna e scrittrice, segnalo il piacevolissimo blog Un tè con Jane Austen, dove tra una tazzà di tè bollente ed un pasticcino potranno trovare una miniera di preziose informazioni.


UN ASSAGGIO:

"Nonostante il paese fosse composto quasi esclusivamente di piccole case, lo spirito dei tempi nuovi lo aveva conquistato - come Mr. Parker fece notare con un certo compiacimento a Charlotte - e due tre delle casette migliori erano abbellite da una tenda bianca e dal cartello 'Camere in Affitto'; inoltre, più avanti, nel piccolo cortile di una vecchia casa colonica, si potevano vedere due donne in eleganti abiti bianchi, con i loro libri e i seggiolini pieghevoli, e girando l'angolo del panettiere, si poteva udire il suono di un'arpa che proveniva dalle finestre del piano superiore.
Questa vista e questi suoni erano una vera benedizione per Mr. Parker. Non che avesse alcun interesse personale nel successo del paese: egli, infatti, considerandolo troppo lontano dalla spiaggia, lì non aveva costruito nulla,ma erano una prova considerevole del  crescente successo di tutta la zona. Se il paese riusciva a richiamare dei turisti, la collina avrebbe potuto fare il pienone. Egli prevedeva una stagione eccezionale. Nello stesso periodo (fine luglio), l'anno precedente non c'era un solo villeggiante a pensione in paese! Nè se n'era visto nessuno per tutta l'estate, ad eccezione di una famiglia di Londra venuta per l'aria di mare dopo la pertosse dei bambini, la cui madre non li lasciava neanche avvicinare alla riva, per paura che cadessero in acqua."

mercoledì 10 febbraio 2016

JONATHNAN COE - La Banda dei Brocchi

DOVE: Birmingham, Regno Unito
QUANDO: anni '70

Tutto ha inizio nel 1973, in una Birmingham marrone e piovosa,  ribollente del malumore di una classe operaia stanca ed affamata di diritti. Più o meno negli stessi anni in cui i due protagonisti di "Due di Due" di De Carlo vedono rinsaldarsi la loro amicizia, in una Milano benestante a malapena scossa dalle proteste studentesche, qui nel cuore dell'Inghilterra industriale altri quattro ragazzi vedono fiorire la loro amicizia.Benjiamin Trotter, Philip Chase, Doug Anderton (i cui padri sono legati per motivi diversi ai destini della locale fabbrica di automobili ed alle proteste violente degli operai), oltre al ribelle Harding, prolifico ideatore di scherzi più o meno feroci, frequentano tutti quanti il King Williams, prestigiosa scuola destinata - questo almeno sperano i loro genitori - a proiettarli verso una laurea ad Oxford ed un brillante futuro. Qui, tra le austere mura della scuola, i quattro intrecciano le loro vicende personali, fatte di insicurezze, musica, sogni infranti, piccole e grandi difficoltà quotidiane, cuori spezzati, vacanze in un Galles aspro e spigoloso.
Ma quelli non sono anni qualsiasi. In Inghilterra come in Italia, tutto sembra fremere, ribollire, come un lago di lava che qua e là scoppia in enormi, rosse bolle letali.
Freme la scena musicale, in una continua evoluzione (dagli Harthfield and the North, con il loro The Rotters' Club che ha ispirato il titolo, passando per gli Henry Cow, fino ai primi ruggiti del punk dei Damned.)
Freme la politica, con gli integralisti (cattolici!!) dell'IRA che seminano sangue e terrore piazzando autobombe nei pub, mentre gli scioperi paralizzano le aziende e la polizia scandalizza l'opinione pubblica caricando i manifestanti. Sudditi di sua Maestà che si mordono uno con l'altro, come cani rabbiosi.
Freme la società, quando al King Williams viene ammesso - primo nella storia - uno studente di colore, Steve Richards, unico in tutta la scuola, che affronta a testa alta il soprannome di Rastus immediatamente affibbiatogli dai suoi compagni.
Tutto è in evoluzione, tutto è sospeso, tutto e tutti sembrano impegnati in una lotta aspra tra passato ed innovazione, modernità e tradizione. Anni straordinari, tutto sommato, per essere degli adolescenti le cui menti, per definizione, sono proiettate in avanti, verso il progresso, verso il domani, verso le decine di migliaia di opportunità che il mondo sembra offrire.
Coe offre un viaggio straordinario verso anni che ci appaiono improvvisamente lontani, ingenui, spigolosi eppure traboccanti di speranza.Un viaggio da godersi comodi comodi, assaporando una tazza di tè bollente ma soprattutto mettendo in sottofondo i tanti, tantissimi riferimenti musicali di cui il libro è disseminato, per entrare DAVVERO nello spirito dell'epoca.


UN ASSAGGIO:

"Fu una serata fantastica. Ti ci potevi perdere in tutto quel rumore. I piccoli problemi, come il fatto che eri senza soldi e non sapevi dove andare a dormire scomparivano in quel mare di accordi e sudore e birra e distorsioni e corpi che saltavano e si lanciavano frenetici per aria e poi per terra come pazzi senza quasi seguire il ritmo della musica. Doug non aveva mai sentito prima nessuna di quelle canzoni, ma nei mesi e negli anni a venire sarebbero diventate i suoi migliori amici: Deny, London's burning, Janie Jones. Restò pietrificato per l'aspetto e per la voce di Joe Strummer che gridava, strillava, cantava, ululava nel microfono: i capelli fradici di sudore, appiccicati alla testa, le vene del collo tese e pulsanti. Doug si arrese a tutto quel rumore e per un'ora trampolò come un indemoniato nel cuore denso e palpitante di una folla di duecento e più persone. Il calore e l'energia erano irresistibili. Alla fine del concerto si avvicinò barcollando al bancone del bar e lottò per trovare un posto mentre i fan schiamazzavano cercando di placare la loro sete. Fu spinto e strattonato ma restituì alla pari spinte e strattoni e finì col sentirsi per la prima volta, quel giorno, meravigliosamente e inaspettatamente a posto."

domenica 31 gennaio 2016

DEBORAH MEYLER - Lo strano caso dell'apprendista libraia

DOVE: New York
QUANDO: nei giorni nostri

Rieccomi a New York, città che non ho mai avuto il piacere di vedere dal vivo (il lavoro, il tempo, il bimbo piccolo, i soldi..) ma che di tanto in tanto "vivo" attraverso un buon libro. Ci ero stata con Cathleen Schine, tempo fa, e ci ritorno oggi con una storia semplice e poetica, anzi, incentrata completamente sul posto più poetico tra tutti i posti poetici, perlomeno per una ossessionata dalla lettura come me: una piccola, quasi anonima libreria, precariamente sopravvissuta nell'Upper West Side alla poderosa esplosione delle grosse catene. La Civetta, questo il suo nome, non è che un negozietto dall'aspetto stropicciato, dagli scaffali e i pavimenti invasi dai libri, che incurante delle lustre ed asettiche grandi metrature delle Barnes & Nobles che vanno fagocitando man mano le piccole librerie indipendenti, continua a brillare di luce propria, nel cuore di Broadway. Esme, trasferitasi dalla placida Inghilterra per motivi di studio - ha un prestigioso Master in Storia dell'Arte presso la Columbia University da portare a termina - vi si imbatte quasi per caso, e se ne innamora all'istante. Adora la disposizione deliziosamente caotica dei libri, adora il personale, adora le piccole chicche che giacciono, sepolte ed inesplorate, sui suoi scaffali impolverati.
E quando si ritrova, fulmine a ciel sereno, incinta e con un rapporto sentimentale più che traballante e tutti i suoi progetti di vita sembrano andare in frantumi, ecco che dalla vetrina della Civetta spunta un barlume di speranza: "CERCASI AIUTO".
Esme si aggrappa a quella speranza con tutta sè stessa, si mette in gioco, prende in mano la vita sua e quella della piccola creatura silenziosa annidata dentro di lei, ed incastrando orari delle lezioni e tempo libero inizia il primo passo verso una vita assolutamente nuova, lavorando nella piccola libreria, ed entrando così nel suo piccolo mondo di stravaganti clienti abituali - il giovanotto appassionato di Nabokov, o l'eccentrico newyorkese con l'asciugamano avvolto in testa a mo' di turbante, per citarne un paio - e di homeless in cerca di qualche lavoretto, o semplicemente di qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.
E mentre Mitchell, il suo brillante e snob  fidanzato/ ex fidanzato nonchè padre della creatura continuamente tentenna tra lei e "le altre", Esme procede dritta, consapevole, forte come solo una donna sa essere, anche quando ha solamente ventitrè anni, ed è sola a migliaia di chilometri dalla sua famiglia con un lavoretto part-time, un figlio in arrivo e un Master che richiede piena concentrazione.
Ma dopotutto, non ci hanno insegnato che a New York tutto è possibile, perfino rifarsi una vita quando tutto sembra disperato? ^_^
Una bellissima storia di forza, di coraggio, di speranza e di libri. Di persone che ancora credono che il commercio sia fatto anche di sorrisi e piccole attenzioni per l'individuo. Di una città piena di stimoli, di vetrine scintillanti, di neon, di luci, di negozietti orientali aperti tutti i giorni a tutte le ore, di taxi gialli e di senzatetto che si spengono nell'indifferenza di tutti, sebbene sotto ai loro occhi.


UN ASSAGGIO:

"Sono in anticipo, perciò posso concedermi una passeggiatina sulla Broadway. Fuori dal mercatino di Brunori c'è del crescione nel ghiaccio, voluminose cassette di succulente ciliegie scure e asparagi legati con nastri viola. Appartiene ad una famiglia di iraniani che, dopo una scrupolosa indagine di mercato sull'Upper West Side ha deciso di darsi una patina di sapore italiano. Entro, e sulla soglia mi accoglie un buon profumino di pane caldo all'uvetta e cannella. Se fai due passi sulla destra, si sente odore di caffè appena fatto. Se vai al reparto di frutta e verdura, senti odore di erba e terra. Non è un negozio grande, è solo strapieno di roba. Compro sei albicocche tra il rosso e l'arancione, vellutate e perfette, importate da qualche posto in cui è ancora estate.
Sono incerta se tradire il mio abituale rivenditore di bagel per uno appena aperto sulla strada, ma una folla di gente ansiosa di provarlo mi rende la decisione più facile. Gli inservienti saranno nuovi, i clienti non sapranno cosa devono scegliere, e io non sono brava ad aspettare. Non so mai a cosa pensare durante l'attesa."


mercoledì 27 gennaio 2016

Neil Gaiman L'Oceano in fondo al sentiero

DOVE: Sussex, Inghilterra
QUANDO: tra gli anni cinquanta ed oggi

Neil Gaiman, sempre lui. Ti rapisce e ti porta in mondi sospesi tra reale e irreale, a volte cupi e violenti come in Nessun Dove, altre volte pervasi da una particolarissima atmosfera di inquieta poesia.
Tutto ha inizio nel Sussex, in Inghilterra, quando un uomo di mezza età si ritrova per caso - come spesso accade, per i capricci della vita a cui piace ogni tanto costringerci a fare i conti col nostro passato - a tornare sui luoghi della sua infanzia. E qui, inevitabilmente, si rituffa indietro di quarant'anni, tra i ricordi sopiti di un tempo in cui "qui era tutta campagna" e lui era un ragazzetto di una decina d'anni,vivace ed amante dei libri, quando l'estate la scuola finiva e si avevano a disposizione lunghi, interi mesi per dedicarsi a sè stessi, quando, per farla breve, conosceva una ragazzina di nome Lettie Hempstock.
Una tipetta sicura, decisa, che viveva con la mamma e la nonna in un casale circondato dalla quiete della campagna, bevendo latte appena munto in una cucina sempre profumata di torte che lievitano silenziose e placide in forno.
Tutto qui? Direte voi. Un cinquantenne che ricorda con nostalgia le sue estati scalze e nullafacenti, gironzolando per le campagne del Sussex con una sua amica?
Neanche per sogno, signori miei, questo, d'altronde, è il mondo di Neil Gaiman.
Ed ecco dunque che, nella pace bucolica di quei ricordi, riaffiorano lentamente elementi bizzarri ed inquietanti. Un cercatore di opali, morto in circostanze misteriose. Una baby-sitter diabolica che pareva aver stregato tutti col suo fascino, tranne lui. Delle oscure forze primordiali che qualcuno pare aver risvegliato, e che ribollono di notte nella campagna un tempo quieta.
E poi loro, le tre Hempstock. Straordinarie, meravigliose Hempstock. Tre creature misteriose e piene di magia, inafferrabili e indefinite come lo stagno tranquillo che si stende alle spalle del loro casale, e che le tre donne sembrano proprio convinte che sia invece un oceano...

Inutile allungare il brodo di questa recensione... Gaiman va letto. Anzi, letto è dire poco.... Gaiman va assaporato. Bisogna lasciare che lui ti guidi, assaporare i profumi ed i sapori, percepire le sensazioni, ascoltare i suoni dei suoi straordinari mondi incantati.
E, qualsiasi cosa accada, ricordate: mai, e ripeto MAI lasciare la mano di Lettie. ;-)

UN ASSAGGIO:
"Non era venuto nessuno al mio settimo compleanno. C'era una tavola imbandita di gelee e budini, cappelli colorati come segnaposto e al centro una torta con sette candeline. Sulla torta, con la glassa era stato disegnato un libro. A mia madre, che aveva organizzato la festa, la signora della pasticceria aveva detto di non aver mai disegnato un libro su una torta di compleanno, che per i maschietti in genere metteva un pallone o una navicella spaziale. Ero stato il loro primo libro.
Quando fu chiaro che non sarebbe venuto nessuno, mia madre accese le sette candeline e io ci soffiai sopra. Mangiai una fetta di torta, come fecero anche mia sorella minore e una sua amica (entrambe presenti in veste di osservatrici, non di partecipanti), prima di filarsela, sghignazzando, in giardino.
Mia madre aveva preparato qualche gioco di società, ma poichè non c'era nessuno, nemmeno mia sorella, non ne facemmo neanche uno e fui io stesso a strappare, da solo, i vari fogli di giornale avvolti intorno al premio dello scarta-la-carta, scoprendo un pupazzo di plastica di Batman tutto blu. Ero triste perchè alla mia festa non era venuto nessuno, ma felice di avere un pupazzo di Batman. Per non parlare del regalo di compleanno che aspettava di essere divorato, un'edizione in cofanetto delle Cronache di Narnia che portai subito di sopra."