mercoledì 23 febbraio 2011

JANE AUSTEN - Northanger Abbey


DOVE: Inghilterra
QUANDO: agli inizi del 1800

L'incontro con il blog austenianissimo di Sylvia mi ha fatto sentire in colpa: in tanti mesi di post, possibile che mi sia dimenticata proprio di lei, che è stata tra le prime autrici a fare il suo ingresso nella mia - allora - piccola biblioteca, quando ero ancora adolescente e vivevo dai miei? In Jane ho trovato - passatemi la metafora - il combustibile per dare alle fiamme tutto il mio temperamento romantico; perchè sì, per carità, sono nata a cavallo tra il Ventesimo e il Ventunesimo secolo... ma là dentro, qualche parte di me è irrimediabilmente attratta da tutto ciò che è Ottocento ^_^.
Per rimediare a questa dimenticanza, voglio cominciare da quello che, tra i libri dell'amatissima Jane, ho forse amato di più pur essendo probabilmente il meno noto. Non che non trovi straordinarie tutte le sue eroine, da Emma a Elizabeth passando per Anne Elliot; semplicemente trovo che l'ingenua sognatrice Catherine abbia molti aspetti del carattere vicino al mio. Sopra tutte, l'amore smisurato per i libri che la spinge - consapevolmente o meno - a deformare la realtà cercando in essa di riaccendere le emozioni della carta stampata. Intrisa fino al midollo dei romanzi gotici allora in voga - in primis "I misteri di Udolpho", Catherine osserva la composta realtà di Bath, tra balli e visite di cortesia, attraverso il filtro della sua immaginazione, scovando oscuri intrighi là dove il più delle volte non v'è che la borghese normalità della provincia. Riuscirà un amore in boccio a riportarla con i piedi per terra, o la sua mania di intuire orrori gotici anche nella più innocente delle dimore del Somerset? All'ultima pagina l'ardua sentenza.

(con la speranza che Sylvia voglia accettare questa tazza di tè austeniana ^_^)

UN ASSAGGIO:

"Il cuore le palpitava, le ginocchia tremavano, il viso si fece pallido. Con mano incerta afferrò il prezioso manoscritto, poichè un rapido sguardo bastò a assicurarle che tale fosse; e mentre riconosceva con emozione e panico la profonda realtà di quel che Henry aveva predetto, risolse senza indugio di leggerne ogni riga prima di abbandonarsi al riposo.
Il pallore della luce della candela la costrinse a guardarla con ansia; ma non vi era pericolo che si spegnesse all'istante, aveva ancora alcune ore di vita; e per non avere altre difficoltà nel decifrare il manoscritto se non quelle determinate dalla sua antichità, la smoccolò all'istante. Ahimè! Nello stesso istante venne smoccolata e spenta. Una lampada non avrebbe potuto spegnersi con più tragico effetto. Catherine, per alcuni istanti, rimase paralizzata dal terrore. Era spenta, inesorabilmente spenta; non una pallida scintilla nello stoppino poteva lasciar sperare di riaccenderla. Oscurità impenetrabile e irrimediabile discese sulla stanza. Una forte raffica di vento, sollevandosi con furia improvvisa, accrebbe l'orrore del momento. Catherine tremava dalla testa ai piedi. Nella pausa che seguì, un suono simile a quello di passi che si allontanassero e di una lontana porta che venisse chiusa colpì l'orecchio atterrito. La natura umana non poteva sopportare oltre."

lunedì 21 febbraio 2011

BERNARD SIMIOT - Il tempo dei Carbec


DOVE: Saint Malo, Bretagna.
QUANDO: prima metà del 1700

Nella Francia ancora lontana dalla rivoluzione, un romanzo che sembra intriso dell'odore di salsedine e di pesce ci conduce nella piccola ma combattiva Saint Malo, cittadina del Nord della Francia in perenne competizione con la rivale Nantes. Qui, la giovane Marie Leone Carbec, tenace e fiera come tutti i suoi compaesani e ritrovatasi - come molte altre spose di uomini di mare - improvvisamente vedova, prende saldamente le redini della propria famiglia, sotto la guida dell'intraprendente zia Clacla (un passato da pescivendola, prima che da contessa). Da un lato l'attività commerciale del marito, dall'altra ben quattro figlioli - tre maschi, una femmina - da sistemare; la giovane Marie Leone senza mai demordere nè cedere alle moine di chi la vorrebbe di nuovo moglie, si dedica anima e corpo a questa sua speciale missione. Sull sfondo, lo srotolarsi della storia: il giovanissimo Luigi XV ritrovatosi suo malgrado re a soli cinque anni e perciò sostituito fino alla maggiore età da Filippo Borbone d'Orleans; l'ambiziosa reggenza di quest'ultimo, che però per la discutibile politica economica - anche sotto l'influenza del banchiere John Law, fautore di alcune manovre piuttosto rischiose - attirò ben presto il malcontento soprattutto di quella parte della popolazione che faceva del commercio la propria fonte di reddito. E ancora, i viaggi della Compagnia delle Indie Orientali verso l'umida India e i verdeggianti caraibi, l'ignobile pagina della tratta degli schiavi, i corsari che proprio di Saint Malo hanno fatto, negli anni, la fiorente cittadina che è.
Sopra tutto questo, l'affascinante Marie Leone, solida come i bastioni della sua città, che oppongono costantemente il petto allo sferzare delle onde, avanza con passo sicuro, costruendo passo passo il destino dei propri figli.

UN ASSAGGIO:

"Dopo aver dato loro l'illusione di appartenere alla razza dei conquistatori, l'India li aveva dolcemente inghiottiti con la sua vita facile, i suoi domestici a buon mercato, le sue mulatte portoghesi, le sieste vischiose, le piogge tiepide, gli uragani sulfurei.
Questi residenti avevano accolto di buon grado il giovane guardiamarina sotto il loro tetto, dove spose di quattordici anni preesiedevano sontuosi banchetti preparati da cuochi che guadagnavano una rupia al mese. Tutto si comprava per niente. Un pollo, una lepre o un'anatra non valevano più di cinque liard e, per tre sol, si potevano sfamare otto persone con enormi pesci strofinati con limone verde. Sfiancati dal caldo umidiccio, sfiniti dalla pigrizia, gli ospiti a malapena toccavano i piatti serviti, preferendo saccheggiare le ceste di arance, guaiave, manghi, papaie e angurie che venivano sempre imbandite sulla tavola. Alla fine del pasto, i convitati facevano girare le bottiglie di alcol portate in dono. Tutti allora si scuotevano dal torpore, parlavano più forte, le piccole spose, la bocca piena del betel masticato che tingeva loro di rosso la saliva e nebruniva i denti, si lasciavano andare a risolini sciocchi, mentre gli uomini si scambiavano allegramente notizie sulla loro sifilide, prima di assopirsi davanti ai bicchieri rovesciati."

giovedì 17 febbraio 2011

MICHAIL BULGAKOV - Il Maestro e Margherita


DOVE: Mosca, Unione Sovietica
QUANDO: inizio '900

Nella Mosca dei primi del '900, in una città florida e variegata dal punto di vista intellettuale, può accadere di tutto: perfino di assistere, in un teatro di varietà, allo spettacolo dell'oscuro Woland, esperto di magia nera e forse - perlomeno agli occhi del poeta Ivan, casualmente sfortunato spettatore della vera natura dei suoi poteri - qualche cosa di più. E quando il giovane poeta viene internato in manicomio proprio a causa delle deliranti accuse da lui rivolte all'artista, i suoi sospetti trovano infine una dolorosa conferma; è infatti il Maestro, un anziano professore anch'egli internato a causa di un grave esaurimento nervoso ed autore di un voluminoso testo su Ponzio Pilato, a rivelargli la vera identità del misterioso prestigiatore. Si tratterebbe addirittura del demonio, giunto a Mosca con il suo bizzarro manipolo di seguaci (il gatto nero Behemot ed il minaccioso demone Azazello, ad esempio) perseguendo un suo fine oscuro. Da questo prende l'avvio una vicenda intricata, che oscillando tra la fredda Mosca degli albori del Ventesimo secolo e la polverosa Gerusalemme dei tempi di Gesù, svela infine la delicata storia d'amore tra il Maestro e la bellissima ed infelice Margherita.
Difficile tratteggiarne più dettagliatamente la trama; suggerisco invece di lasciarsi andare ed immergersi in un mondo unico nel suo genere, continuamente sospeso tra ciò che è reale - perlomeno, ciò che lo è per i protagonisti del romanzo - e ciò che invece è frutto della penna del Maestro, in un'atmosfera carica di suggestioni cupe come di tenerezza di sentimenti. Tra la soffocante sensazione di angoscia che pervade ogni qualvolta Bulgakov ci conduce nel quartier generale dell'oscuro Woland, all'emozione di assistere, attraverso gli occhi di Ponzio Pilato, al supplizio di Gesù. Un romanzo unico nel suo genere, che ho riletto due volte, a distanza di tempo, scoprendolo sì con occhi diversi, ma con identico piacere.

UN ASSAGGIO:

"Veniva da me quotidianamente, di giorno, e ad aspettarla io cominciavo sin dal mattino. Questa attesa si manifestava col fatto che spostavo gli oggetti sul tavolo. Dieci minuti prima mi sedevo vicino alla finestra e mi mettevo in ascolto, aspettando che il vecchio cancello sbattesse. E' strano: prima che l'incontrassi, poca gente veniva nel nostro cortiletto, anzi, non veniva mai nessuno, mentre adesso mi sembrava che tutta la città vi si precipitasse. Sbatteva il cancello, sbatteva il mio cuore, e si figuri, dietro il finestrino, al livello del mio viso, appariva immancabilmente un paio di stivali sporchi. L'arrotino. Ma chi aveva bisogno di un arrotino nella nostra casa? Arrotare che cosa? Quali coltelli?
Lei entrava una sola volta dal cancello, ma io avevo provato il batticuore almeno dieci volte, non dico una bugia. Poi, quando giungeva la sua ora e le lancette indicavano mezzogiorno, il batticuore continuava senza ticchettio, quasi silenziose, davanti alla finestra non mi passavano le scarpe con un nodo di camoscio nero, stretto da una fibbia d'acciaio."

giovedì 10 febbraio 2011

GAILE PARKIN - Africa Social Club


DOVE: Kigali, Ruanda
QUANDO: anni'90, al termine della guerra civile

La dolcissima Angel Tungaraza è certamente uno dei personaggi che più amo, tra quelli incontrati nei romanzi contemporanei. Questa donna corpulenta, che combatte con i fastidi della menopausa in un Ruanda in boccio dopo gli orrori della guerra e del genocidio, l'ho incontrata per caso, come spesso accade, leggendo distrattamente la quarta di copertina di un libro su una bancarella. E, immediatamente, ha preso un posto speciale in quella parte del mio cuore nella quale - chi ama leggere sa cosa intendo - restano quegli "affetti" tutti speciali che proviamo per i protagonisti delle storie che leggiamo. Angel è una donna speciale, come molti suoi conterranei sopravvissuta malgrado tutto al sangue e alla violenza, che faticosamente tenta di lasciarsi alle spalle le cicatrici che tutto questo le ha lasciato. E lo fa nel modo più dolce e semplice possibile, inventandosi una professione; perchè Angel, nella sua modesta cucina di Kigali, allestisce torte su ordinazione. Ma una torta, nel polveroso Ruanda che risolleva a fatica il capo contandosi le ferite, è molto più di uno sfizioso finepasto; è la celebrazione stessa della Vita. Si riscopre la voglia di festeggiare anniversari, compleanni, matrimoni, e lo si fa con tutto il cuore e l'energia dell'Africa, con delle coloratissime torte nelle quali Angel mette tutta la sua anima. Perchè lei, che pure porta dentro le ombre oscure di due figli prematuramente scomparsi, trova tuttavia il tempo e la voglia per stare ad ascoltare le storie di quelli che varcano la soglia della sua casa per ordinare una torta; li fa accomodare sul divano con una tazza di tè latte caldo speziato, e lascia che ciascuno racconti la propria storia. La giovane madre ammalata di AIDS, che decide di riscattarsi imparando da Angel il suo mestiere. L'ex soldato-bambino, divenuto un adulto che conserva appena una pallida ombra dei sentimenti umani dietro i suoi occhi spenti. La provocante Wazungu, l'occidentale che ritiene inspiegabilmente di voler festeggiare il suo divorzio, quasi che il fallimento di un matrimonio fosse un trionfo personale. La delicata infermiera che, vittima lei stessa di violenza, ha scelto di dedicare la vita ad aiutare i più bisognosi. Tante storie che la penna di Gaile descrive con tanta delicatezza che pare di poterle appena sfiorare, mentre sullo sfondo si dipanano gli oscuri background di un genocidio che per noi è stato tanto, troppo lontano.
Un libro che consiglio vivamente perchè fa riflettere sulla vita, sulla violenza, sulla morte e sulla capacità - ormai quasi scomparsa in noi "occidentali" - di gioire sinceramente per le piccole cose della vita.

UN ASSAGGIO:

"La torta sul piano di Angel era per la cena di Ken Akimoto che avrebbe avuto luogo quella sera stessa. Ken era di gran lunga il suo miglior cliente, perchè le ordinava una torta due o tre volte al mese. Adorava fare feste e si diceva che fosse molto bravo a preparare i piatti del suo nativo Giappone, sebbene avesse vissuto per la maggior parte della vita negli Stati Uniti. Angel si divertiva a fare le torte per lui perchè le lasciava la libertà di decorarle a suo piacimento. Solo una volta le aveva richiesto un disegno particolare: quando aveva dato un ricevimento per alcuni osservatori del governo giapponese in visita a Kigali peer vedere se fosse il caso di sponsorizzare qualcosa al KIST. In quell'occasione, Ken aveva ordinato ad Angel una torta che richiamasse la bandiera giapponese: una bandiera piuttosto noiosa, tutta bianca con un enorme cerchio rosso nel mezzo. Al tempo Angel aveva pensato che la torta fosse estremamente brutta - anche se adesso riconosceva che non lo era quanto quella dei Wanyika - ma, a quanto pareva, gli ospiti di Ken l'avevano trovata abbastanza bella da fotografarla da più angolazioni."

martedì 8 febbraio 2011

WALTER SCOTT - Ivanhoe


DOVE: Inghilterra
QUANDO: alla fine del Dodicesimo secolo

Come forse si è capito, adoro moltissimo i classici; dal momento che, infatti, per me leggere è viaggiare con il potere della mente, come potrebbe essere altrimenti? Come altri avrei potuto, ad esempio, visitare l'Inghilterra di Riccardo Cuor di Leone, se non immergendomi nella lettura di un classico con la "C" maiuscola quale l'Ivanhoe di Sir Walter Scott? Mi rendo conto che molti possano storcere il naso, di fronte ad un mattone di cinquecento pagine e più, specialmente tutti quelli che, pur amando leggere, trovano più piacevole abbandonarsi ad un linguaggio più vicino a quello dei nostri giorni che non a quello Ottocentesco di Scott. Eppure io l'ho divorato in pochi giorni, per ben due volte.
Provate infatti ad immaginare questo scenario: spegnete radio e TV, fate sparire il traffico, gli aerei, lo sbattere delle porte al piano di sotto, il lontano ululare di un'ambulanza. Immergetevi in un mondo dalla vegetazione rigogliosa, in cui il suono degli zoccoli di un cavallo era l'unica compagnia dei viaggiatori, in un'epoca in cui, al tramonto, calavano tenebre non ancora diluite dal brillare delle lampadine. Immaginate una neonata Inghilterra nella quale Sassoni e Normanni sono ancora due popolazioni in contrasto, vincitore contro vinto, che faticano ad amalgamare le proprie lingue ed usanze a forgiare l'Inghilterra che noi conosciamo. Immaginate poderosi feudi, entro le mura dei quali il feudatario è unico signore e padrone, e chiassosi tornei nei quali cavalieri in livrea fanno cozzare le lance lanciandosi in un galoppo sfrenato. Tutto questo non vi fa ancora venire l'acquolina in bocca? Ebbene, mettete nell'intreccio il nobile Vilfredo di Ivanhoe, sassone che ha giurato fedeltà combattendo accanto al nuovo re Riccardo I; aggiungetevi il suo patriottico padre che l'ha per questo diseredato e vive invece asserragliato nel proprio castello, rifiutando di riconoscere il vincitore normanno, e ancora: una giovane ebrea che con la sua bellezza infiamma il cuore del focoso templare Bois-Guilbert, un valente e misterioso Cavaliere Nero, una splendida orfana e il suo amore contrastato per il giovane diseredato... vicende private che si intrecciano le une alle altre, in un mondo tanto affascinante quale quello cavalleresco. Un'occasione imperdibile per conoscere un'epoca perlopiù oscura ed assistere alla nascita di una nazione che ha, alle sue spalle, molto più che i Quattro Baronetti di Liverpool.
E a far da sfondo alle vicende dei "piccoli" protagonisti, la grandezza della Storia, che prima d'essere un elenco ordinato di date e fatti è stata presente, adesso, sangue, terra, odore pungente di cavalli, fiammeggiare di incendi e mani giunte, imploranti.

UN ASSAGGIO:
"'Vuotate una coppa alla mia salute, signor Templare' disse Cedric ' Ed empitene un'altra all'abate, mentre io torno indietro di una trentina d'anni per raccontarvi un'altra storia. Il Cedric di allora non aveva bisogno di prendere dai trovatori francesi ornamenti per il suo semplice inglese quando voleva parlare a una bella; e il campo di Northalleron, il giorno di San Standard, potrebbe dire se il grido di guerra sassone non fu udito da così lungi nelle file degli scozzesi quanto il 'cri de guerre' del più prode barone normanno. Alla memoria di quei bravi che combatterono là! Brindate con me, miei ospiti - Bevve un lungo sorso, e proseguì con crescente calore - Sì, quello fu un giorno in cui gli scudi cozzarono e cento bandiere sventolarono sulle teste dei valorosi; e il sangue corse a fiumi e la morte parve preferibile alla fuga. Un bardo sassone lo avrebbe chiamato una festa delle spade, un raduno di aquile sulla preda, l'urto delle alabarde sugli scudi e degli scudi sugli elmi, il clamore della battaglia più gioioso di un tripudio di nozze. Ma i nostri bardi non esistono più -continuò Cedric - le nostre gesta sono andate perdute in quelle di un'altra razza, la nostra lingua, il nostro stesso nome sta rapidamente decadendo, e nessuno se ne lamenta eccetto un vecchio solitario. Coppiere! Empi le tazze, birbante. A tutti i forti guerrieri, signor templare, di qualunque razza o lignaggio che adesso combattono in Palestina fra i campioni della Croce!'"

mercoledì 2 febbraio 2011

MURAKAMI HARUKI - Dance Dance Dance


DOVE: Dolphin Hotel, Sapporo
QUANDO: Anni 80

Difficile definire "dove" si svolge questo romanzo.. perchè sì, tutto prende l'avvio da questo piccolo e misterioso hotel di Sapporo, nel quale il protagonista ha trascorso una sola - perlopiù insignificante - settimana della sua vita e che, inspiegabilmente, compare tutt' a un tratto nei suoi sogni. Ma quello è solo l'inizio.
Ben presto, infatti, la storia comincia ad oscillare tra la realtà ed un inquietante universo parallelo che all'improvviso stende la sua oscurità fin al Sedicesimo Piano dell'albergo, un mondo buio nel quale dimora in silenzio l'inquietante Uomo Pecora e che sembra essere in qualche modo legato alla sparizione della bella Kiki, squillo di lusso alla ricerca della quale il protagonista - giornalista freelance senza particolari ambizioni- si lancia convulsamente.
E poi la misteriosa tredicenne Yuki, figlia "dimenticata" da una mamma troppo presa dalla propria carriera e dal proprio compagno, sola con la compagnia delle sue cuffiette, della musica rock e di una speciale capacità di "percepire" gli altri. E Gotanda, ex compagno di studi divenuto star del cinema e incontrato per caso, a distanza di anni, col quale il protagonista condivide una solitudine i cui silenzi incominciano a pesare. E ancora, la piccola e timida Yumihoshi, receptionist del nuovo Dolphin hotel, quello che ha fagocitato il vecchio e decadente alberghetto nella sua scintillante e lussuosa gola.
Un gran ribollire di personaggi e idee, un intreccio lungo il quale l'autore ci guida con semplicità, al ritmo degli Stynx e dei Fleetwood Mac, fino al prevedibile - eppur sorprendente- finale.
Un viaggio meraviglioso, che ho voluto ripetere per ben due volte; ed ogni volta l'atmosfera decadente e misteriosa del Dolphin hotel ha saputo compiere il suo incanto.


UN ASSAGGIO:

"Era un albergo piccolo e modesto, del quale sembravamo essere gli unici clienti. Durante quella settimana, nella hall mi capitò di incontrare al massimo due o tre persone, e non ebbi modo di capire se anche loro pernottassero lì. Ma siccome sul quadro alla reception a volte mancavano alcune chiavi, ne dedussi che forse c'erano altri clienti oltre noi. Magari non molti, ma c'erano. D'altra parte era abbastanza improbabile che in una grande città un albergo indicato da un'insegna e segnalato sulle pagine Gialle resti vuoto. Ma ammesso che ci fossero altri clienti, doveva trattarsi di persone straordinariamente discrete. Non solo non avemmo mai occasione di vederle, ma nemmeno sentimmo mai il minimo rumore o scorgemmo alcun segno della loro presenza. A parte la posizione delle chiavi alla reception, che ogni giorno cambiava leggermente."

martedì 1 febbraio 2011

TRACY CHEVALIER - La Dama e l'unicorno


DOVE: tra Parigi e Bruxelles
QUANDO: alla fine del 1400

Adoro i romanzi che propongono mete di viaggio insolite, come questo in cui al fianco di Tracy Chevalier ci immergiamo nell'affascinante mondo dei tessitori di arazzi in un colorato Belgio alla fine del Quindicesimo Secolo. Per intenderci, all'alba del viaggio di Cristoforo Colombo in America, in un tempo in cui un ricco parigino poteva ancora ingaggiare un celebre artista affinchè realizzasse un arazzo per la decorazione di una delle proprie lussuosissime stanze. E' qui che prende l'avvio una vicenda ricca di sensualità, colore e atmosfera che s'incentra sulla figura di Nicolas Des Innocents, parigino e piuttosto incline a subire il fascino della Bellezza femminile, al quale il ricco Jean Le Viste decide di commissionare un'opera raffigurante la Battaglia di Nancy. Il progetto di La Viste è alquanto ptetenzioso; arredare la sua Grande Sala con una serie di arazzi che celebrassero la sua elezione a priore della Cour des Aides con soggetti che rimandassero al trionfo ed alla grandezza. Ma la bella e sensuale Genevieve, moglie del ricco commissionante, stanca di sangue, battaglie e violenza, esige invece che il soggetto sia di tutt'altro sapore; l'amore, la sensualità, la poesia, la passione. E gli chiede di rappresentare la seduzione di un unicorno da parte di una dama. Secondo un'antica leggenda Medievale, infatti solo una Vergine poteva attirare a sè e domare la più indomabile e sfuggente delle creature.
Tra Francia e Belgio, seguendo il filo sottile delle stoffe più preziose, s'intrecciano quindi le esistenze dei personaggi, tra la passione bruciante che incendia Nicolas per Claude, la giovane figlia del ricco parigino e le vicende cui fa da sfondo la bottega laboriosa di George de la Chapelle, tessitore di Bruxelles, allo stesso ritmo con cui le sapienti dita degli artigiani guidano l'intreccio di lana e seta per mesi, prima di poter osservare con soddisfazione il lavoro compiuto.


UN ASSAGGIO:
"Prima del taglio ci siamo inginocchiati per dire una preghiera a san Maurizio, patrono dei tessitori. Finalmente Georges Le Jeune mi ha passato un paio di forbici. Ho preso una manciata di fili dell'ordito e, tenendoli ben tesi, ho incominciato a reciderli di netto. Al primo taglio Christine si è lasciata sfuggire un sospiro, ma nessuno ha più fiatato mentre procedevo con il resto dei fili.
Quando ho finito, Georges Le Jeune e Luc hanno srotolato l'arazzo dal sabbio attorno a cui era avvolto. Hanno avuto l'onore di tagliare l'altra estremità dell'ordito, prima di appoggiarlo per terra. A un mio cenno, hanno steso il tessuto con il diritto finalmente rivolto verso l'alto. Siamo rimasti a fissare l'arazzo il silenzio, tutti tranne Alienor che è andata in casa a prendere la birra per brindare."