giovedì 30 settembre 2010

PATRICK SUSKIND - Storia del Signor Sommer


DOVE: Untersee, piccolo villaggio sulla riva di un lago della Baviera

QUANDO: in un tempo non specificato.

Probabilmente esagero, ma questo libro mi ha riportato per molti versi alla mente uno dei miei libri preferiti, Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupery. Diversa la trama, eppure c'è un che di simile, nell'atmosfera candidamente favolistica con cui Suskind racconta la storia dell'eccentrico signor Sommers, vista attraverso gli occhi di un suo piccolo concittadino. Ben lontano dalle atmosfere cupe de "Il Profumo", ma mantenendo lo stesso potere evocativo, stavolta ci conduce in un paesello bavarese, Untersee, adagiato sulla riva di un lago e quasi tutt'uno col confinante Obernsee, tanto da fondersi, agli occhi de forestieri, in un unico paese. In questa terra verde di boschi vive un singolare personaggio, del quale i più ignorano tutto, tranne una cosa: che il Signor Sommers cammina. Lo si vedeva con la neve e con la grandine, con l'afa, alle prime luci dell'alba e con la luna alta nel cielo, quando i bambini assonnati si incamminano di malavoglia verso la scuola e quando la sera, chiudendo le finestre per andare a dormire, si affacciavano in strada. Instancabile, inconfondibile, accompagnato solo dal suo bastone e dallo zaino.
Ed inevitabilmente finisce per essere l'oggetto delle chiacchiere degli adulti, che consapevoli di cosa vuol dire crescere lo bollano come "svitato" e biasimano le sue solitarie scorribande senza una meta, mentre la moglie lavora ininterrottamente nel loro scantinato, fabbricando bambole. Perchè il Signor Sommer cammina? Dove lo spinge il suo camminare senza meta?
Attraverso lo sguardo attento di un bambino, prende lentamente forma la storia del suo curioso concittadino.

UN ASSAGGIO:
"Era facile riconoscerlo. Il suo aspetto era inconfondibile, anche a distanza. D'inverno portava un lungo cappotto nero, eccessivamente ampio e stranamente rigido, che a ogni passo gli ballava sul corpo come un involucro troppo grande, stivali di gomma e sulla pelata un berretto rosso con il fiocco. D'estate però - e l'estate per lui durava dall'inizio di marzo fino alla fine di ottobre, cioè il periodo senz'altro più lungo dell'anno - il signor Sommer portava una paglietta con un nastro nero, una camicia di lino color caramello e pantaloni corti, dello stesso colore, da cui spuntavano, ridicolmente scarne, le sue gambe lunghe, fibrose, quasi soltanto un groviglio di tendini e di vene varicose, che in basso sparivano entro un paio di rozzi scarponi da montagna."

mercoledì 29 settembre 2010

HENRY JAMES - Giro di vite

Grassetto
DOVE: in un'antica dimora nell'Essex
QUANDO: tra la metà e la fine del Diciannovesimo Secolo

Forse molti storceranno il naso, nell'accostare il termine "horror" ad un'opera pubblicata nel 1898: oggi come oggi, è un termine che a noi evoca scenari splatter e sadici scatenati. Parlare di "classici dell'horror", probabilmente rimanda nella mente della maggior parte alla tenera ingenuità dei primi film in bianco e nero, quando la tensione era giocata più che altro sul filo di un pianoforte abilmente ritmato e bocche spalancate plasticamente a forma di "O".
Personalmente, penso però che sia sciocco non lasciarsi per una volta trasportare dal potere evocativo delle parole, anzichè dalla banale violenza di certe immagini. E lasciare che Henry James ci conduca in una solitaria dimora nobiliare dolcemente abbandonata nel cuore più verde della campagna inglese, dove una giovane istitutrice viene assunta per educare due adorabili bambini, tutti riccioli e moine. Peccato che per lei, ben presto, l'atmosfera deliziosamente "old England" si sfilacci miseramente davanti ai suoi occhi, lasciando trapelare un oscuro mistero. Come e perchè la vecchia istitutrice è scomparsa? E chi sono le misteriore presenze che sembrano agitarsi inquiete tra le silenzione stanze di Bly? Miss Giddens, tenendo sempre ben a mente la raccomandazione del padrone di casa, uomo d'affari che chiede di non venir assolutamente disturbato qualsiasi cosa dovesse accadere nella residenza di campagna, combattuta tra il naturale terrore e l'istinto protettivo verso i suoi bambini, indaga. Riuscirà a proteggere i bambini dalle due oscure presenze che sembrano minacciare la loro ingenuità?
Da qui si snoda tutta una vicenda ricca di tensione, sembre in bilico tra ciò che sembra e ciò che è, in un crescendo che finirà per scardinare con la violenza di un uragano tutto ciò che Miss Giddens aveva creduto.

E, se non dovesse bastare questo a convincere gli scettici, fate un giro in internet e scoprite quante edizioni cinematografiche sono state tratte più o meno direttamente dal romanzo di James: scoprirete che è un classico che ha ancora tanto, tanto da dire.

UN ASSAGGIO:

"Era lì che erano rimasti i miei guanti, e allora rientrai per prenderli. La giornata era ancora grigia, ma la luce del pomeriggio non era del tutto scomparsa, il che mi consentì, mentre attraversavo la soglia, non solo di vedere i guanti che stavo cercando posati su una sedia accanto alla grande finestra chiusa, ma anche di rendermi conto che, fuori dalla finestra, c'era una persona che stava guardando dentro la stanza. Mi era stato sufficiente fare un solo passo nella stanza per avere una visione totale e immediata: la persona che stava scrutando tanto attentamente nella stanza era la stessa che avevo già visto! Così eccola che faceva di nuovo la sua apparizione, ma essa, devo precisare, non fu più chiara della prima (sarebbe stato impossibile), ma con una vicinanza che rappresentava un approfondimento del nostro rapporto e che, mentre la guardavo, mi mozzò il respiro e mi fece gelare il sangue."

LUIS SEPULVEDA - il vecchio che leggeva romanzi d'amore


GrassettoGrassetto
DOVE: El Idilio, colonia di bianchi nel cuore della foresta amazzonica

QUANDO: nei giorni nostri

A El Idilio, dove la pioggia scroscia furiosa lasciando il posto ad un afa appiccicosa, la morte di un colono bianco non sarebbe di per sè un evento. L'uomo bianco è fragile, facile preda delle malattie e degli incidenti, quando si addentra nel frondoso territorio degli indios shuar, lì dove la Natura domina selvaggia ed incontrastata. Ma quando un giovane colono robusto viene trovato morto, con una vistosa ferita al collo, nella piccola colonia l'agitazione s'insinua tra le baracche. Ed al panciuto ed odioso sindaco, dopo aver ingiustamente accusato dell'omicidio gli stessi shuar che avevano condotto il corpo lungo il fiume sulla loro canoa, non resta che arrendersi all'evidenza: non è un indio a minacciare la tranquillità dei suoi concittadini, ma un tigrillo, una belva emersa dal folto della vegetazione per prendersi chissà perchè la briga di ammazzare i suoi uomini. E con tutta la presunzione che può contenere la sua abbondante - e sudatissima -persona, si rivolge all'unico uomo che può aiutarlo a catturare l'animale: il vecchio Antonio Josè Bolivar Proano, bianco di nascita ma shuar di adozione, che da questi ha appreso lentamente i segreti della foresta e i dei sottili fili che intrecciano le esili vite umane alla prepotente forza della Natura. Antonio Josè Bolivar, che custodisce nel profondo del suo cuore la cicatrice mai chiusa di un amore sbiadito e di un antico dolore, e che ha scoperto il dolce incantesimo dei romanzi d'amore - accetta, sebbene a malincuore, di porre la sua esperienza al servizio dell'odiato sindaco; e s'inoltra nel folto della foresta, accompagnato dal fantasma dei suoi tanti ricordi.
Questa, molto semplicemente, la trama di un libro che ci immerge in un mondo silenzioso, dove le foglie frusciano minacciosamente annunciando l'avvicinarsi dei tigrillos, le nuvole si chiudono di scatto sopra alle teste rovesciando piogge torrenziali e il dentista giunge, portato dal fiume, una volta all'anno, assieme ad una poltrona portatile con la quale allestisce un improbabile studio odontoiatrico sulla banchina del porto. E, soprattutto, un mondo in cui noi occidentali diventiamo piccoli ed indifesi, in balia di una natura che non sappiamo più ascoltare nè comprendere.


UN ASSAGGIO:

"Un bel giorno, insieme alle casse di birra e alle bombole di gas, il Sucre sbarcò un annoiato ecclesiastico, inviato dalle autorità religiose con la missione di battezzare i bambini e di mettere fine ai concubinati. Tre giorni rimase il frate a El Idilio, senza trovare nessuno disposto a portarlo nei piccoli villaggi dei coloni. Alla fine, annoiato per l'indifferenza della clientela, si sedette sul molo ad aspettare che la barca lo riportasse via da lì. Per ammazzare le ore della canicola tirò fuori dalla tasca un vecchio libro e cercò di leggere un po' prima di essere sopraffatto dal sopore.
Il libro nelle mani del religioso funzionò come esca per gli occhi di Antonio Josè Bolivar, che aspettò pazientemente finchè il frate, vinto dal sonno, lo lasciò cadere di lato.
Si trattava di una biografia di San Francesco, che scorse furtivamente con la sensazione di commettere una specie di furtarello. Metteva insieme le sillabe, e man mano che andava avanti l'ansia di capire tutto quello che c'era in quelle pagine lo portò a ripetere a mezza voce le parole afferrate al volo."

martedì 21 settembre 2010

GUESTBOOK


.. a vostra disposizione per un pensiero, un suggerimento, un saluto...

un grazie a tutti i "viaggiatori" di passaggio! ^_^

HARPER LEE - Il buio oltre la siepe



DOVE: profondo Sud degli Stati Uniti
QUANDO: anni'50

Cosa succede quando una giovane nativa dell'Alabama e amica fin dall'infanzia del grande Truman Capote decide di mettersi a scrivere i suoi ricordi di bambina?
Nasce, naturalmente, un capolavoro.
Questa, in poche righe, la genesi de Il buio oltre la siepe, pubblicato - con gran successo - negli anni '60 e divenuto ormai un classico, complice anche l'adattamento cinematografico con Gregory Peck.
Un libro estremamente moderno, nella sua capacità di dipingere con semplicità un affresco delle meschinità più bieche del razzismo e della straordinaria caparbietà di chi a ciò sceglie di opporsi, anche quando questo significa scontrarsi contro un'intera comunità. La storia, vista attraverso gli occhi della piccola Scout, ragazzina anticonvenzionale e intelligente, narra la storia di suo padre Atticus Finch, avvocato che sceglie di difendere dall'accusa di violenza carnale il giovane (e innocente) Tom Robinson. Peccato però che Tom sia un "negro", e come tale, nella grettezza di opinioni della "brava gente" di Maycomb, certamente meritevole di castigo. D'altronde, come poter pensare di opporre la parola di un nero che proclama la sua innocenza a quella di una giovane bianca? Scout e il fratellino Jem, con la semplicità disarmante dei bambini, guardano ed ascoltano ogni cosa, sforzandosi di capire. Sullo sfondo, un'America agricola e bigotta, in cui i bambini corrono scalzi in strada e mettono alla prova il loro coraggio entrando nel giardino della "casa maledetta" dei Radley, nella quale - si dice - viva in perfetta solitudine il giovane Boo, malato di mente la cui malattia, nell'immaginario dei concittadini, sfuma nei toni della mostruosità.
Un romanzo che, pur nella sua delicatezza, colpisce con la violenza della verità più cruda. Perchè ci ricorda le nostre responsabilità di adulti nel costruire un mondo migliore. E ci ricorda che i bambini ci guardano, sempre.

UN ASSAGGIO:

"Il signor Avery stava a pensione di fronte alla casa della signora Lafayette-Dubose. Tutte le domeniche posava una banconota sul piatto delle elemosine prendendosi tutti gli spiccioli in cambio, e tutte le sere sedeva sulla veranda fino alle nove e starnutiva. Una sera fummo così fortunati da assistere ad una sua esibizione, che doveva essere la prima e l'ultima perchè per quanto lo spiassimo non la ripetè mai più. Jem e io scendevamo una sera gli scalini della casa di miss Rachel quando Dill ci fermò:'Accidenti!' disse 'Guardate un po' là!' E indicò la casa al di là della strada. Dapprima vedemmo soltanto una veranda coperta da rampicanti, ma a una più attenta osservazione scoprimmo un getto d'acqua che dalle foglie cadeva schizzando nel cerchio giallo della luce del lampione; a quanto ci parve, dalla fonte dello zampillo a terra potevano esserci tre metri. Jem disse che il signor Avery aveva calcolato male le distanze e Dill aggiunse che doveva bere almeno quattro litri d'acqua al giorno, e la discussione che seguì per determinare le relative distanze e le rispettive prodezze ancora una volta mi diede l'impressione d'esser tagliata fuori, visto che in materia non me ne intendevo."

domenica 19 settembre 2010

EDWIN A. ABBOTT - Flatlandia


DOVE: in un mondo immaginario a due sole dimensioni
QUANDO: in nessun tempo

Ecco un libro davvero particolare, che consiglio a chi voglia leggere qualcosa di leggero che al contempo nasconda in sè un'anima impegnativa. Perchè Flatlandia dietro l'apparenza "favolistica" del racconto, porta con sè l'ambizioso - e a mio modesto avviso, riuscito - compito di divulgare al grande pubblico uno dei concetti scientifici più ostici: l'esistenza di una quarta dimensione. E lo fa nel modo più semplice possibile, presentandoci un piccolo mondo in due dimensioni, popolato di quadrati, triangoli e cerchi che vivono le loro placide vite bidimensionali. E questo mondo, Abbott ce lo descrive minuziosamente nella prima parte del libro, raccontandone la società, le credenze, le abitudini.Ma cosa succede quando in questo mondo tranquillo giunge una sfera?
Non anticipo nulla, perchè Flatlandia è un libro che va scoperto e digerito passo passo; dico solo che gli eventi inspiegabili che sconvolgeranno il piccolo mondo bidimensionale fanno sorridere e riflettere. Ed aiutano a capire con semplicità che può esserci molto di più di ciò che i nostri sensi sono in grado di percepire con immediatezza. Il tutto, è assolutamente straordinario, se pensiamo che la storia è datata addirittura 1882.
Dietro la storia, l'autore (qui il profilo Wikipedia con maggiori dettagli), teologo e insegnante prima che scrittore, il che certo aiuta a capire ancor di più il sapore in un certo senso "filosofico-religioso" che la narrazione assume in alcuni punti, quando i due mondi - a due e a tre dimensioni - vengono a contatto, con le inevitabili incomprensioni e le difficoltà di percezione che questo comporta (difficile per gli abitanti del mondo bidimensionale riuscire a capire che il misterioso visitatore che svanisce nel nulla è in realtà in grado di muoversi lungo una dimensione che essi non sono in grado di vedere nè tantomeno intuire).
Una storiella scorrevole - giusto nella fase iniziale, personalmente, ho scalpitato un po' quando la lunga e minuziosa descrizione del mondo bidimensionale rallentava un tantino la storia - brillante, deliziosamente intessuta di piccoli bocconi rudimentali di scienza.
Geniale, per menzionare giusto un passo, l'incontro dei personaggi con il mondo unidimensionale del punto (anche in questo caso, non anticipo nulla più di questo onde evitare di togliere gusto alla lettura della storia).
Un libretto all'apparenza senza pretese che però, a chi vuole guardarlo con occhio attento, apre un mondo di riflessioni multisfaccettate, sull'esistenza, sulla nostra percezione del mondo, sulla possibilità che esistano cose - e mondi - che il nostro occhio non sia in grado di percepire, e universi sterminati dei quali noi ignoriamo l'esistenza. Un colpo, insomma, se vogliamo leggerlo in quest'ottica, supponendo di essere noi gli ignari abitanti di Flatlandia, alla nostra mania di sentirci unici, irripetibili, al centro dell'universo.

Un libro che consiglio certamente a tutti coloro che vogliano dare respiro, con un sorriso, alla loro mente a tre dimensioni. ^_^

UN ASSAGGIO:

"Anche mia moglie aveva udito le parole, benchè non ne avesse compreso il significato, e tutti e due balzammo in direzione della voce. Quale non fu il nostro orrore quando ci vedemmo davanti una Figura! A prima vista ci parve una Donna, vista di lato; ma un momento di osservazione bastò a mostrarmi che le sue estremità sfumavano in modo troppo sensibile per un'appartenente al sesso femminile. L'avrei ritenuto un Circolo, ma le sue dimensioni sembravano cambiare in modo impossibile per un circolo o per qualunque altra figura di cui avessi avuto esperienza."


Grassetto

venerdì 17 settembre 2010

PAOLO MAURENSIG - Canone inverso


DOVE: Vienna (Austria)
QUANDO: primi decenni del '900

Ecco un libro "piccolo" (solo 170 pagine o poco più), ma davvero intenso, uno di quelli che inizi a leggere annoiato dall'attesa dei mezzi pubblici e dal quale alzi la testa, ore dopo, intontito e rendendoti conto di aver perso la cognizione del tempo. Perchè "Canone Inverso" è un racconto che cattura e rapisce, avvolgendoti senza scampo. Ti cattura con il suo stile narrativo, che inizia in stile "matrioskeggiante", con una storia che racchiude un'altra storia che a sua volta ne racchiude in sè una terza. Un uomo acquista, nella Londra moderna, un prezioso violino del Seicento da Christie's; ancora immerso nel compiacimento per l'acquisto, viene interrotto da uno sconosciuto che, bussando alla porta della sua camera d'albergo, chiede di poter vedere lo strimento e ne racconta, con evidente emozione, la storia. Sì, perchè l'uomo sostiene di aver conosciuto, anni prima, il proprietario di tale meraviglia, incontrato per puro caso a Vienna, durante i festeggiamenti per i trecento anni di Bach; un violinista di bravura straordinaria, celato dietro le vesti umili di un suonatore di strada. Il quale, a sua volta, ha raccontato all'uomo la sua storia, fatta di sudore e capovolgimenti del destino, una storia iniziata presso un austero conservatorio viennese, in cui tra il rigore e la disciplina agli scolari viene instillata la fredda tecnica esecutiva - a discapito, talvolta, di estro e talento. Qui nasce l'amicizia tra Jeno Varga e Juno Blau, e da qui prende l'avvio una storia avvincente fatta di amicizia, d'amore, di studio e fatica; una storia che finisce per intrecciarsi - fino a rischiare di venirne soffocata - dalla Storia dell'Europa che nel frattempo avanza, al ritmo delle parate militari sotto l'egida delle croci uncinate. Pagina dopo pagina la storia scivola via scorrevole, fino ad un finale sorprendente; e sopra a tutto, sopra alle piccole vite dei singoli che si spengono di fronte alla grandezza della Storia, sopra ogni cosa aleggia la musica, quella eterna della Ciaccona di Bach, che a dispetto di tutto, resiste.


UN ASSAGGIO:

"Per i più grandi, invece, le cose andavano diversamente: sul loro capo, dopo una mancanza, pendeva per tutto il resto dell'anno la grande minaccia. Solo alla fine della sessione estiva il 'colpevole' avrebbe conosciuto il proprio destino. E la condanna veniva pronunciata in pubblico, quando eravamo presenti nell'aula magna alla cerimonia del diplomi. Dopo i vari discorsi degli insegnanti e quello, interminabile, del direttore, si dava il via alla ripartizione dei premi e delle pene, che erano sempre l'espulsione. L'allievo veniva chiamato ad alta voce e invitato ad avvicinarsi alla cattedra. Una volta ascoltata la sentenza, doveva togliere la giacca verde dell'uniforme, lasciarla cadere a terra e uscire dall'aula sotto gli occhi di tutti. Una condanna a morte e la condotta al patibolo non potevano apparire più terribili."