venerdì 19 agosto 2011

GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA - Il Gattopardo


DOVE: Sicilia
QUANDO: 1860

Nella Sicilia assolata, nel cuore di quel 1860 che vede l'Italia - tutta, indistintamente, da Nord a Sud - attraversata dalla febbre del Risorgimento: è qui che ci trasporta Il Gattopardo, che con la delicatezza di un acquerello dipinge la rivoluzione vista attraverso lo struggente punto vi vista di chi vede il lento disfacimento della propria antica casata e del ceto nobiliare intero, sopraffatto dalla crescente forza della borghesia.
E qui, nella sfarzosa tenuta dei principi di Salina, avviluppata nel suo giardino odoroso di menta e zagare, silenziosamente assorta nella quotidiana recita del Rosario, incontriamo il principe Fabrizio - orgoglioso rappresentante di quella "casta" che malvolentieri accetta l'idea del proprio tramonto - e suo nipote Tancredi, giovane infiammato dagli ideali garibaldini che proprio tra le fila dei Mille ha scelto di schierarsi, in aperto conflitto con lo zio.
E mentre l'Italia scossa dall'impeto della rivoluzione si trasforma, sotto le rigide volte di Casa Salina si instaura una strenua - e sempre più debole - resistenza, perfino sotto il profilo culinario, quando il Principe rifiuta, nei suoi ricevimenti, di assecondare l'usanza barbara di incominciare un pasto con una "brodaglia", preferendo al nordico potage un ben più opportuno timballo di maccheroni. E tra devoti pellegrinaggi al Monastero di Santo Spirito - che accoglie la pia salma della Beata Corbera, antenata dei Salina, tra lussuosi e mondanissimi balli (occasione, negli intervalli di respiro lasciati dai "fattacci" della rivoluzione, per incontrarsi e congratularsi di esistere ancora), amori che sbocciano, i paesaggi riarsi dal sole, la nobile casata scivolta lenta e dignitosa incontro al suo tramonto, mentre il cuore della neonata Italia si avvia a pulsare di nuova vita.

UN ASSAGGIO:

"Primo (ed ultimo) di un casato che per secoli non aveva mai saputo fare neppure l'addizione delle proprie spese e la sottrazione dei propri debiti, possedeva forti e reali inclinazioni alle matemariche; aveva applicato queste all'astronomia e ne aveva tratto sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private. Basti dire che in lui orgoglio e analisi matematica si erano a tal punto associati da dargli l'illusione che gli astri obbedissero ai suoi calcoli (come di fatto sembravano fare) e che i sue pianetini che aveva scoperto (Salina e Svelto li aveva chiamati, come il suo feudo e un suo bracco indimenticato) propagassero la fama della sua casa nelle sterili plaghe fra Marte e Giove e che quindi gli affreschi della villa fossero stati più una profezia che un'adulazione.
Sollecitato da una parte dall'orgoglio e dall'intellettualismo materno, dall'altra dalla sensualità e dalla faciloneria del padre, il povero Principe Fabrizio viveva in perpetuo scontento pur sotto il cipiglio zeusiano e stava a contemplare la rovina del proprio ceto e del proprio patrimonio senza avere nessuna attività ed ancora minor voglia di porvi riparo."


mercoledì 17 agosto 2011

NEIL GAIMAN - Coraline



DOVE: in una tranquilla casa americana, dalla quale però si accede ad un inquietante mondo parallelo

QUANDO: nel tempo senza tempo delle più classiche favole.

Coraline Jones è una bambina sveglia, curiosa, vivace; per molti versi mi ricorda la Scout creata dalla penna di Harper Lee. Trasferitasi in una nuova casa assieme ai suoi genitori - i quali però, spesso assorti nel loro lavoro, prestano ahimè attenzione allo schermo del pc molto più che al suo bisogno di compagnia - trascorre le sue vacanze estive in annoiate scorribande alla scoperta della nuova casa, della quale però ben presto finisce per esplorare ogni angolo. Nè le bizzarre Miss Forcible e Miss Spink, un tempo brillanti attrici di teatro, oggi tranquille vecchiette nonchè sue vicine di casa, nè il vecchio pazzo dell'ultimo piano, dedito al laborioso addestramento di un'orchestra di topini, sono sufficienti a riempire le sue giornate; inevitabile, dunque, che il suo spirito da esploratrice finisca per essere irrimediabilmente attratto da quella misteriosa porta sulla parete del salotto, sempre chiusa a chiave benchè murata.
La porta - spiega la mamma - metteva in comunicazione le due ali della casa, ma dal momento che è stata divisa in due metà e solo una è stata venduta, è stata chiusa con un muro. Tutto quadrerebbe, certo, se non fosse per quell'inquietante ombra nera che, svegliandosi di soprassalto nel cuore della notte, Coraline vede scivolare via proprio attraverso la porta; niente di meglio, per una bambina dallo spirito tanto intraprendente.
Ma quando, varcata infine la soglia, finirà per trovarsi imprigionata in un'oscuro mondo parallelo, prigioniera di un Altro Padre ed un Altra Madre che sembrano essere usciti da un incubo, pallidi riflessi di quelli veri, riuscirà davvero la coraggiosa Coraline a cavarsela, tornando infine nel suo mondo?


UN ASSAGGIO:

"Coraline prese una sedia e la spinse vicino alla porta della cucina. Ci salì sopra e si protese verso l'alto, inutilmente. Poi scese e andò a prendere una scopa nel ripostiglio. Quindi salì di nuovo sulla sedia, e protese verso l'alto il manico della scopa.
Cling.
Scese dalla sedia e raccolse le chiavi. Sorrise trionfante. Poi appoggiò la scopa alla parete e andò in salotto.
La famiglia non andava mai in quella stanza. Avevano ereditato i mobili dalla nonna di Coraline, insieme a un tavolinetto basso, una consolle, un pesante portacenere di vetro e il dipinto a olio di una fruttiera. Coraline non era mai riuscita a capire come mai ci fosse gente che avesse voglia di dipingere una fruttiera. Quanto al resto, la stanza era vuota: niente soprammobili sulla mensola del caminetto, niente statuine, nè orologi, niente che rendesse quel luogo confortevole e vissuto. La vecchia chiave nera sembrava più fredda di tutte le altre. Coraline la infilò nella toppa. Girò senza fare capricci, con soddisfacente rumore metallico.
Coraline si fermò ad ascoltare. Sapeva che stava facendo qualcosa di proibito, così tese l'orecchio per sentire se sua madre stesse tornando, ma non sentì nulla. Poi mise la mano sulla maniglia e la girò: e finalmente la porta si aprì.
Si aprì su un corridoio buio. I mattoni erano scomparsi, come se non ci fossero mai stati. Da quel corridoio veniva un agghiacciante odore di stantio: l'odore di qualcosa di molto vecchio e di molto lento.
Coraline varcò la soglia."

mercoledì 3 agosto 2011

BANANA YOSHIMOTO - Kitchen

DOVE: Giappone
QUANDO: Anni '90

Ho un debole per Banana Yoshimoto.Sarà perchè in Giappone non sono mai stata, e lei ha la capacità di catapultarti - con racconti brevi e intensi come sogni - nel bel mezzo di un appartamento di Tokyo, a sorseggiare un tè bollente osservando al di là del vetro una distesa di tetti di cemento. Sarà per lo stile estremamente "vivo", che quando chiudi la pagina hai ancora impresse sulla pelle, nelle narici, sulle papille le sensazioni tattili, olfattive e gustative che in realtà hai solo immaginato.
Tra i suoi libri, decisamente Kitchen è uno di quelli che ho amato di più: due racconti ( tre, a dire il vero, ma i primi due sono legati alla storia degli stessi personaggi) poetici ed intensi sull'amore, sulla solitudine di chi, travolto dal destino, perde una persona cara e si aggrappa a ciò che può per non affogare, sulla vita che va avanti, nonostante tutto.
Da un lato, la giovane Mikage, rimasta sola in una casa piena di ricordi dopo la morte della nonna, che ritroverà in Yuichi e nella sua stravagante "mamma" Eriko il calore di una famiglia, l'affetto di un amico e forse qualcosa di più. Dall'altro, la struggente Satsuki, che poco più che adolescente affronta la morte improvvisa dell'amato Hitoshi, fianco a fianco nel suo dolore con il fratello di questi, Hiiragi, che nello stesso incidente ha perso la fidanzata e che per amore di lei continua ad indossare la sua divisa scolastica - con tanto di gonnellino - incurante di chi lo addita ridacchiando quando compare in un caffè.
La prima, tenace e determinata, che scopre la propria strada professionale nella cucina, mentre nel privato si sforza con tutta sè stessa di venir fuori dal tunnel d'isolamento che la morte sembra averle costruito intorno; la seconda, appassionatamente devota, che fiacca il suo fisico con una estenuante seduta di jogging mattutino nella disperata speranza di lasciar scivolare via tutto quanto, assieme al sudore.
Due storie delicatamente poetiche, suggestive nella loro ambientazione così lontana dalla nostra realtà - eppure così vicina a quella che abbiamo imparato ad amare attraverso certi cartoni ^_^ - che si lasciano leggere in un sussurro, ma ti lasciano dentro tanto.


UN ASSAGGIO:

"Mi sforzavo di correre. A volte, quando mi sentivo mancare il fiato, mi veniva da pensare che correre così, stanca com'ero per la notte trascorsa, non fosse che un modo di maltrattarmi. Era un dubbio che respingevo subito nella mia mente confusa: mi dicevo che se non altro al ritorno avrei dormito. La tranquillità delle strade era così totale che faticavo a mantenere chiara la coscienza. Il rumore del fiume si faceva più vicino, e il cielo cambiava a ogni istante. Una bella giornata stava per nascere attraverso il cielo azzurro e limpido.
Arrivata al ponte, come sempre mi appoggiai alla balaustra e mi misi a guardare le strade e le case che sfumavano indistinte nell'azzurro dell'aria. Il fiume scorreva con un suono fragoroso, trascinando ogni cosa con la sua schiuma biancastra. Un vento freddo mi soffiava sul viso, asciugando il sudore. Nell'aria ancora rigida di marzo splendeva chiara la mezza luna. Il respiro di consensava in vapore bianco."