lunedì 21 novembre 2011

FEDERICO DE ROBERTO - I Vicerè



DOVE: Catania, Sicilia


QUANDO: tra il 1850 e la fine dell'Ottocento, a cavallo dell'Unità d'Italia



Gente illustre, questi Uzeda. Fin dal loro antenato Lopez Ximenes, giunto in Sicilia dalla Spagna quale governatore dell'isola per conto dell'imperatore Carlo V e capostipite di una lunga stirpe di orgogliosi, austeri e bellicosi Vicerè - questo il nomignolo che la casata porta con sè da ben duecento anni. Orgogliosamente avvinghiata alle proprie rigidissime tradizioni nobiliari, attenta a mantenere la purezza del proprio sangue e l'integrità del proprio patrimonio attraverso un'oculatissima scelta - o più propriamente, pianificazione - dei matrimoni e delle "vocazioni" più o meno spontanee che indirizzano i cadetti verso la vita monacale. Nel lusso del loro palazzo catanese, più e più volte rimaneggiato nel corso degli anni dai precedenti inquilini, ciascuno dei quali ha sentito nel corso del tempo l'esigenza di aggiungere ali, aprire finestre e murare quelle esistenti, i principi di Francalanza godono beatamente della silenziosa venerazione del popolo, almeno fino a quando non ci mette lo zampino quel tumulto che, con la forza di un uragano, va propagandosi dal Regno di Piemonte lungo tutto lo stivale. E quando la fiamma della rivoluzione sbarca in Sicilia assieme alle camicie rosse garibaldine, perfino nella presuntuosa immobilità della loro antica casata qualcosa comincia a scricchiolare. Don Gaspare Uzeda, fratello del defunto principe Consalvo, trasportato dalla corrente della rivoluzione arriva perfino a diventare deputato presso il neonato Regno d'Italia, scatenando le ire della sorella Ferdinanda, zitellona avida e borbonica fin nel midollo, fiera snocciolatrice del proprio albero genealogico. E poi il benedettino don Blasco, collerico e a tratti blasfemo, anch'egli pronto a mutare direzione quando le nuove leggi impongono la chiusura dei conventi, mettendo fine a una certa pingue avidità di chi ha scelto la vita monacale non certo per vocazione. E il contino Raimondo, secondogenito eppure preferito dalla defunta Tereza Uzeda, la quale decise di dargli moglie scatenando così un pericoloso precedente in una famiglia dove tutto era stato sempre pianificato affinchè l'intero patrimonio restasse nelle mani del primogenito. Personaggi le cui vite s'intrecciano sotto il tetto dell'antico palazzo dei principi di Francalanza, tra ribellioni più o meno velate ai rigidi protocolli nobiliari, epidemie di colera, rancori mai sopiti, sottili rivalità ed una certa freddezza - al limite con l'odio di classe - verso chi entra a far parte, loro malgrado, della famiglia. Difficile anche stilarne in breve una trama, tanto molteplici sono le sfaccettature prese in esame, mentre sullo sfondo l'Italia nasce e muove lentamente i primi passi. Un affresco assolutamente straordinario - insieme, naturalmente, al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa - della Sicilia risorgimentale con le sue antiche radici nobiliari, il popolo bruciato dal sole, la dedizione al Re Borbonico e i dubbi verso una Roma tanto astratta quanto lontana.


UN ASSAGGIO:


"La principessa, da alcuni giorni, aveva lo stomaco rovinato, non digeriva più, si trascinava penosamente dal letto alla poltrona; e appunto perciò tutti gli altri convennero che bisognava metterla in salvo prima degli altri. Marito e moglie partirono dunque subito con lo zio e Baldassarre; gli altri restarono a preparare i carri della roba, giacchè questa volta, non andando in casa propria, bisognava portare letti, biancheria, tutte le cose di uso giornaliero. Nella notte tornò il maestro di casa per avvertire che l'alloggio era trovato, e il domani all'alba tutti scapparono dal Belvedere dove il colera già divampava. La casa, alla Viagrande, s'era trovata grazie alle relazioni ed ai quattrini del principe di Francalanza: nondimeno, era una catapecchia consistente in tre cameracce e due stanzini a pianterreno, povera abitazione d'un bottaio dove i Vicerè furono molto contenti di potersi ficcare. Grazie al nome di Uzeda, l'entrata in paese fu loro consentita quantunque venissero da un luogo infetto; ma, una volta dentro, il principe, il duca, don Blasco cominciarono a gridare che non bisognava lasciar passare nessun altro, se non si voleva la rovina della Viagrande. Infatti l'epidemia decimava non solamente la popolazione rimasta in città, dove si contavano fino a trecento morti al giorno e non c'era più consorzio civile, nessuna autorità, nè deputati nè consiglieri, nè niente, ma diffondevasi per la prima volta con violenza straordinaria nel Bosco scampato a tutte le altre invasioni coleriche: era al Belvedere, era a San Gregorio, Gravina, alla Punta, guadagnava le case sparse, non risparmiava i casolari perduti in mezzo alle campagne; e non soltanto i poveri diavoli morivano, ma le persone facoltose, i signori che s'avevano ogni sorta di riguardi; talchè la gente atterrita fuggiva da un paesuccio all'altro, come poteva, sui carri, a cavallo, a piedi; ma chi portava addosso il germe del male cadeva lungo i canali stradali, si torceva nella polvere e moriva come un cane: i cadaveri insepolti, cotti dal torrido sole estivo, esalavano pestiferi miasmi, mettevano il colmo all'orrore; e i fuggiaschi che arrivavano sani e salvi ai luoghi ancora immuni erano accolti a schioppettate dai terrazzani atterriti ...."

lunedì 14 novembre 2011

DANIEL PENNAC - La lunga notte del dottor Galvan


DOVE: Parigi, Clinica Universitaria Postel-Couperine
QUANDO: ai giorni nostri

Delizioso e breve racconto dello straordinario Pennac, che ci catapulta nella caotica e bizzarra notte di guardia del giovane dottor Galvan, discendente da una famiglia di medici "fin dai tempi di Moliere" e assorbito fino al limite dell'ossessione nel progetto di un biglietto da visita all'altezza della propria ambizione. E qui, al pronto soccorso della Clinica Postel-Couperine, in una nottata caotica di incidenti stradali, tentati suicidi, crisi asmatiche, ambulanze che ululando si arrestano vomitando fuori in fretta e furia una barella cigolante , fa la sua comparsa un paziente silenzioso ("Non mi sento tanto bene", questo tutto ciò che è in grado di dire), che dopo aver diligentemente atteso il proprio turno, vedendosi passare avanti tutte le classiche urgenze di una frenetica notte al pronto soccorso senza battere ciglio, crolla pesantemente sul pavimento, prima di manifestare uno dopo l'altro una sfilza di sintomi tanto complessi e discordanti da mettere in crisi non solo il giovane Galvan - distogliendolo perfino dalle sue ossessive fantasie sul proprio biglietto da visita - ma anche il chirurgo Angelin, l'urologo Saliege, lo pneumologo Verhaen e tutti i colleghi specialisti che, uno dopo l'altro, svegliatisi di soprassalto e buttati giù dalle loro brande, accorrono al capezzale del misterioso infermo, tentando di venire a capo del mistero.
Ma proprio quando tutto sembra perduto, l'abile colpo di penna di Pennac rimescola le carte, preparandoci ad un finale sorprendente.

UN ASSAGGIO:

"Era Domenica ed eravamo nel pieno della classica frenesia notturna: incidenti domestici, infezioni eruttive, suicidi abortiti, aborti mancati, sbronze comatose, infarti, attacchi epilettici, embolie polmonari, coliche nefritiche, bambini bollenti come pentole, automobilisti in polpette, spacciatori fatti a colabrodo, barboni in cerca di alloggio, donne picchiate e mariti pentiti, adolescenti fumati, adolescenti catatonici... Insomma, la tipica domenica notte al pronto soccorso, e per giunta con la luna piena. Tutta quella bella gente faceva il possibile per sottrarsi al lunedì mattina, e io come sempre iniettavo, otturavo, intubavo, cucivo, suturavo, sondavo, zaffavo, drenavo, medicavo, facevo partorire, qualche volta addirittura prevenivo e depistavo! Insomma, dispensavo. Ero un dispensario fatto persona. Sostituivo Pansard, Verdier, Samel, Desonge 'A Buon rendere, Galvan..' ' Lasciate stare, ragazzi, lo faccio volentieri.' (tutti baroni, oggi, quelli.)

lunedì 7 novembre 2011

ANTONIO SKARMETA - il postino di Neruda


DOVE: San Antonio, Cile
QUANDO: fine degli anni'60

Bizzarra la vita. Come quando pone fianco a fianco il più illustre poeta cileno ed un semplice pescatore, divenuto postino per necessità. Questa la storia di Mario Jimenez, che pedalando lungo le strade bruciate dal sole dei giugno intraprende il suo nuovo mestiere; perchè quando vivi a San Antonio, Isla Nigra, Cile, nel 1969 le alternative non sono molte, specialmente se sei un giovane con poca voglia di affrontare l'Oceano. Ma Mario possiede una bicicletta e sa leggere e scrivere - a differenza della maggior parte degli altri isolani - e questo gli consente di dare una svolta alla sua vita; perchè le lettere che custodisce nella sua sacca e che con zelo trasporta dall'ufficio postale al destinatario e ritorno appartengono addirittura a Pablo Neruda, che proprio qui, in un minuscolo centro di pescatori a Sud di Valparaiso, ha deciso di costruire il proprio rifugio. Per Mario, dal temperamento ardente e dalla spiccata sensibilità poetica, un'occasione d'oro per sollevarsi dalla semplice quotidianità di San Antonio, spiccando il volo - se vogliamo rubare la splendida analogia di un altro poeta, Baudelaire con il suo Albatros - lì dove solo i poeti possono osare.
E in quella straordinaria amicizia, nella quale il futuro Premio Nobel diviene confidente di uno squattrinato vissuto fino ad allora di espedienti, il giovane Mario troverà la forza per dichiarare il proprio amore (perchè dove altro, se non nell'Amore, la poesia può trovare la sua ispirazione) per la bellissima Beatriz, figlia della locandiera del paese, malgrado la mamma di lei si opponga all'idea di legare la propria figlia ad uno scapestrato che vive di spiccioli e metafore.

Una storia d'amore, amicizia, di sogni e possibilità, cui fa da sfondo il rumore dell'Oceano, che sulle semplici vite di Isla Nigra veglia come ha sempre vegliato.

UN ASSAGGIO:

"Ciò che non ottenne l'Oceano Pacifico con la sua pazienza simile all'eternità, lo ottenne il semplice e dolce ufficio postale di San Antonio: Mario Jimenez non solo si alzava all'alba zufolando, il naso sgombro e gagliardo, ma aggrediva il suo compito con tanta puntualità che il vecchio funzionario Cosme gli affidò la chiave dell'ufficio, caso mai si fosse deciso, una volta tanto, a compiere un'impresa da tanto sognata: dormire al mattino così a lungo che fosse già l'ora della siesta, e concedersi una siesta tanto lunga che fosse già l'ora di andare a letto, e andando a letto dormire così bene e profondamente da sentire il giorno dopo quella voglia di lavorare che Mario irradiava, e che Cosme ignorava meticolosamente.
Con il primo stipendio, pagato come si usa in Cile con un mese e mezzo di ritardo, il postino Mario Jimenez acquistò i seguenti beni: una bottiglia di vino Cousino Macul Antiguas Reservas per suo padre; un biglietto d'ingresso al cinema, grazie al quale si gustò West Side Story, inclusa Natalie Wood; un pettine d'acciaio tedesco al mercato di San Antonio, da un ambulante che lo offriva accompagnandosi col ritornello "La Germania ha perso la guerra ma non l'industria. Pettini inossidabili marca Solingen"; nonchè l'edizione Losada delle Odi Elementari del suo cliente e vicino Pablo Neruda.